Scritto da: Mariella Buscemi

Somministrarsi illusioni al bisogno

Stretta nella mia scatola di ossa e carne a violentarmi le unghia e farmi ballare davanti agli occhi della mente legioni di personaggi che mi tengano compagnia. Sono i miei non-compagni di viaggio, fantasmi dalle caratteristiche assortite e verosimili. Vederne le sembianze, sentirne il timbro della voce, percepire impressioni sulla pelle come di sfioramenti, di calore di corpi. Era il mio mondo fatto di suppletivi, di accorgimenti costruiti sul terreno fertile della necessità, sulla falla antica della mancanza, per via del veleno corrosivo dell'impossibilità.
Somministrarsi illusioni al bisogno, senza foglietto illustrativo, direttamente in vena perché vadano subito in circolo; dosaggi sempre sbagliati, i miei, overdose di deliri per il mio craving emozionale.
L'ho passata così la mia infanzia, a fare i conti con l'imposizione dell'essere tagliati fuori dal mondo, dell'essere diversi dalla 'noiosa normalità'.
Poi, finivo di maciullarmi le dita, mi alzavo da quel letto sempre troppo stropicciato come i miei occhi sempre troppo gonfi e la mano stringeva la maniglia fredda della porta che conduceva alla cucina, l'aprivo, come in un rituale, come fosse netta demarcazione di stati, percezioni e di mondi e li trovavo comodamente seduti a vegetare davanti alla tv, ignari di quel che davvero ero io e del sovvertimento di fattori reali e non reali che mi dimoravano. Sorrisi di circostanza, l'elenco dettagliato dei compiti per casa e la rassicurazione massima dell'averli svolti.
Il rumore della tv mi distrarrà dal potere parlare con uno dei miei 'amicì, ma dovrò rimandare di un paio d'ore.

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