Scritto da: Andrea Manfrè

Al giocatore ungherese non toccare il cavallo


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Ad un ungherese mai toccare un cavallo, nemmeno se sta in una mano ed è fatto d'avorio. Puoi minacciare le torri, la regina e perfino il re, ma i cavalli mai. Perdere una partita difendendo i due cavalli ancora in campo era considerato un punto d'onore al circolo di Fehérvár, il villaggio turanico smarrito nella puszta ungherese dove Barabás Ferenc, maestro di campagna, viveva la sua vita piallata come un mobile antico e senza difetti, concedendo all'imprevisto giusto una partita di scacchi. Al circolo infatti poteva anche capitare qualcosa di sconclusionato, se per esempio Imre il fattore, con una sfacciata disinvoltura che aveva dell'incredibile, faceva scivolare di una casella una torre in difficoltà, ma in diagonale, muovendo contemporaneamente l'alfiere, in orizzontale ovviamente: questione non di malizia, ma di sensibilità scacchistica non particolarmente spiccata. Benché la pialla del destino avesse limato con metodica regolarità la sua vita, Barabás Ferenc un giorno decise di deragliare lungo una traiettoria impensabile, che partiva da Fehérvár con la corriera polverosa, arrivava a Debrecen dove saliva su una carrozza ferroviaria con le poltrone rosse, sbarcava alla stazione centrale di Budapest sotto un cielo di ferro neogotico, percorreva stupita i viali asburgici e i ponti sospesi sul ... [segue »]

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