Poesie inserite da Gabriella Stigliano

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Scritta da: Gabriella Stigliano

Quando urlo cantando

Concedimi ancora
di cambiare maschera,
fragile l'essenza
che ha rischiato di spegnersi
negli angoli incolori
della tua assenza.
Cerca di guardare
oltre il mio sorriso affaticato,
cerca le parole
che ho lasciato morire
sulle scale del tempo.
I miei sbagli
li ho cuciti su un vestito
che indosso in solitudine
quando urlo cantando,
affidando tutta l'anima
al cielo lontano
confinante con l'irreale,
in cui poterti amare.
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    Scritta da: Gabriella Stigliano

    Come un violino

    Come una piuma
    nel vento,
    una fiaba sussurrata
    nella notte,
    un cielo visto
    dal riflesso
    di uno specchio
    di una stanza
    vissuta e respirata,
    ma nascosta
    nell'incostanza.
    Come un violino
    in un angolo buio,
    che sogna
    un assolo
    sulla scena in luce
    del mondo,
    come una luna lontana
    che strega
    e cambia le maree,
    così una donna
    sa misteriosamente
    essere,
    aspettando il silenzio
    che profetizza
    l'amore.
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      Scritta da: Gabriella Stigliano

      Tramonto

      Cos'altro mai puoi dirmi che io non sappia,
      vena del sol che sangue dai alla terra,
      sfilacciar quieto di nebbia rifratta
      tra l'azzurro del mare e il ciel vermiglio?
      Quanti tramonti affollano i ricordi,
      quante lingue di fuoco sulle acque,
      e tutti si confondono, di notte,
      quando, calato il sole, chiudi gli occhi.
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        Scritta da: Gabriella Stigliano

        Al fanciullo Elis

        Quando il merlo nel nero bosco chiama, Elis
        questo è il tuo tramonto.
        Le tue labbra trincano la frescura della azzurra sorgente.

        Lascia, quando la tua fronte lieve sanguina,
        le antiche leggende
        e l'oscuro significato del volo degli uccelli.

        Ma tu con tenui passi entri nella notte
        piena di tralci purpurei
        e tu più bello muovi le braccia nell'azzurro.

        Un roveto risuona
        dove sono i tuoi occhi lunari.
        Oh, da quanto tempo, Elis, sei morto!

        Il tuo corpo è un giacinto
        in cui un monaco immerge le ceree dita.
        Una nera caverna è il nostro silenzio.

        Ne fuoriesce talvolta un mite animale
        lungamente abbassa le pesanti palpebre.
        Sulle tue tempie sgocciola nera rugiada,

        L'ultimo oro delle tramontate stelle.
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