Poesie inserite da Dario Pautasso

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Scritta da: Dario Pautasso

Il Sole

Sono entrato nella piazza
curvo sotto il peso
che portavo ben chiuso sulle spalle:
la gente ronzava come sempre
ed io ho detto: eccovi!
Eccovi il sole,
non ve l'aspettavate da me!
Ho lasciato cadere quella palla
infuocata di meraviglia
proprio lì, ai miei piedi.

Tutti si coprivano il volto,
abbassavano lo sguardo
urlavano come impazziti.
Spegni quella maledetta luce!

Ben presto la piazza era vuota
solo il vento brontolava nel candore.
Le persone, tutte, chi qua chi là
s'erano rifugiate nelle stalle
nei bunker antiatomici
nelle cave delle miniere
ovunque fosse buio.
Abbandonai il sole e le seguii
dentro uno scantinato sudicio
immondo d'odori di
sudore e lacca e fiati gravi
e deodoranti e merda e paura.
Allungai le mani per farmi spazio
e sentii le forme cadenti
dei corpi compressi nell'oscurità,
m'appoggiai al ventre obeso
di una vecchia donna
che si strinse al muro bestemmiando
e finalmente ero calmo
finalmente sicuro
finalmente a casa.
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    Scritta da: Dario Pautasso

    L'ultimo bicchiere

    L'ultimo bicchiere
    prima che le stelle mi strappino via
    Addio bei occhi verdi
    Addio pianto eterno
    scappo con le mani
    che indicano il mondo
    dai lati
    lo citano dai lati
    lo scrutano dai lati.

    Dai amico, ancora un bicchiere
    l'ultimo bicchiere.

    Canta il gallo
    e le stelle mi strappano via
    Addio arbusti di luce*
    Addio gelidi venti.

    Nessuno è venuto a raccogliere
    brandelli di carne.

    Nessuno è venuto a porgermi
    meraviglie nei palmi caldi.

    Vedi Dio?
    Non hai voluto ascoltare il mio
    bel canto di gioia.
    ed ora è troppo tardi:
    nel vetro di questo ultimo bicchiere
    si schianta il mondo
    in un frastuono d'ebbrezza.

    Addio bei capelli di fieno
    Addio sorriso da copertina
    Arriva il giorno
    e le stelle mi strappano via.
    Composta sabato 8 febbraio 2014
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      Scritta da: Dario Pautasso

      Sei una poesia che ho già scritto

      Se fosse la prima volta
      avrei dolci parole
      per narrarti sogni a lieto fine,
      porterei tra le mani una margherita
      fresca di campo
      ed avrei occhi di meraviglia
      nei tuoi occhi.

      Se fosse la prima volta
      avrei mani calde
      per stringerti
      e un fiato dolce di campagna
      per congratularmi del tuo sorriso
      così giovane,
      così vero.

      Ma sei una poesia che ho già scritto
      quando ero troppo giovane
      e troppo arrogante per guardare
      oltre il mio sguardo;
      sei una poesia che ho già scritto
      con mani impastate dei colori
      dell'inesperienza.
      con grazia dinoccolata d'immaturo,
      con voce fredda d'incuranza.

      Se fosse la prima volta,
      ma sei una poesia che ho già scritto
      nel momento sbagliato
      quando le parole scorrevano
      frettolose ed imprecise
      come un canto stonato
      nella notte.

      sei una poesia che ho già scritto
      e ora, guardami,
      le mie labbra sono mute
      come terre
      desolate.
      Composta lunedì 20 gennaio 2014
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        Scritta da: Dario Pautasso

        È reale

        Nulla è reale
        se non ciò che ci fa star
        bene
        o male.

        Non c'è vita nella vita se stai soffrendo troppo.
        Non c'è morte nella morte se sei in pace.

        Il vuoto è pieno zeppo
        se ti spaventa.
        I fantasmi sono sempre esistiti
        se li hai temuti.

        I tramonti piangono le loro cascate
        di colore
        ai tuoi occhi
        solo quando sollecitano un'emozione.

        Ho visto tanti, troppi tramonti
        in bianco e nero...

        Ho ammirato notti senza luna
        nei colori più sgargianti.

        Anche il tempo si esprime solo
        in gradi di sofferenza,
        e lo spazio nei livelli d'immensità
        con cui ci opprime.
        Composta sabato 17 novembre 2012
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          Scritta da: Dario Pautasso

          La danza

          Come un segreto indagatore
          mi annido nella sofferenza,
          dagli animi più bui
          io traggo le energie
          per l'ennesimo passo.

          Come un ballerino
          si muove grazioso
          io, di roccia in roccia,
          dispiego la mia danza:
          le ginocchia sbucciate
          e dolenti
          l'animo in fiamme,
          volteggio.

          E tutto dov'è quiete
          dove è richiesto
          un volto di pace,
          io taccio,
          timoroso del mio stesso cuore.
          Composta martedì 24 settembre 2013
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            Scritta da: Dario Pautasso

            L'ultima volta

            L'ultima volta che ho baciato
            i tuoi occhi ero calmo
            come il suono di un ruscello
            lontano.
            Ero dolce quando già l'onda
            cresceva dentro un cuore
            riarso.
            Avrei voluto che le mani
            continuassero a non tremare
            per carezzarti i fianchi
            ma già il tuono rombava
            incalzante
            nella mia mente.

            L'ultima volta che ho baciato
            i tuoi occhi
            sapevo che il muro
            stava crollando
            eppure il sorriso ci rassicurava:
            piangevi di gioia
            prima del tuono
            prima che l'onda mi sommergesse,
            ancora.

            L'ultima volta che ho baciato
            i tuoi occhi
            ho sfiorato una lacrima
            che innaffiava la tua vita
            così genuina,
            forte: il fiore più bello.

            L'ultima volta
            già le foglie del mio albero
            si staccavano man mano
            lievi ed atroci
            tra il giallo accecante e il rosso dolente
            nella nera pozza
            degli addii.
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              Scritta da: Dario Pautasso

              E' l'angoscia

              Se guarderete tra la gente
              vedrete un uomo che non è un uomo.
              È un soffio di fiato che non è fiato.
              È un'ombra.
              Quest'uomo che non è un uomo
              porta il peso di tutte le incomprensioni
              di tutte le esistenze del mondo,
              da sempre:
              è l'angoscia.
              Ha due braccia che sono travi
              e un sorriso che è un pozzo
              dove cadono le espressioni degli altri
              senza lasciare traccia.
              Niente speranze, niente sogni,
              nessun segreto da proteggere;
              il sole è pallido anche a maggio:
              è l'angoscia.

              Quest'uomo stravolge il cosmo
              anche quando questo vuol starsene fermo,
              perché le cose non sono cose
              ma sono non-cose. E la vita non è vita,
              è non-vita.
              Così le stelle si confondono.

              Egli non appartiene alla terra,
              non rientra in nessuna categoria,
              è solo nella sua lotta.
              Non può non essere solo
              perché, solo, lotta contro il se stesso solitario.
              Questo fiato che non è un fiato
              vorrebbe gioire
              ma se lo fa tremano le labbra e smette subito
              e se vuole piangere
              non c'è lacrima che gli bagni la guancia:
              è l'angoscia.

              Quando quest'ombra comprende che è essenziale
              a questo mondo, quando ci crede davvero,
              quando accetta che non può esistere una forza oscura
              che gli stringe le membra e gli affanna la mente
              più forte di lei,
              se questa forza è la somma dei suoi stessi pensieri
              che sono il suo Io,
              quest'ombra smette d'essere ombra,
              smette d'essere fiato,
              smette d'essere uomo.
              È più di un uomo:
              è un uomo che piange
              che ride
              che ama.
              E il sole scalda la pelle.

              Anche le stelle si riorganizzano.
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                Scritta da: Dario Pautasso

                Verrò a cercarti

                Verrò a cercarti e ti starò vicino
                quando nuovamente ti incamminerai
                nelle desolate terre del dolore,
                là dove c'è sempre una tacita battaglia,
                là dove si è soli tra la moltitudine,
                là dove i consigli sono vana parola,
                verrò a cercarti.

                Non credere che abbia in me
                un motivo più degno d'esistere:
                non ne ho.
                Non credere che le tue dita sottili
                che fragilmente tendi sul fragore del mondo
                per ritrarle ratte e tremanti di paura
                mi sconfortino.
                Non mi sconforteranno.
                Non credere che io ceda nel vederti nascondere
                nella fragile mano i vergognosi occhi
                di cui un tempo vantavi il fulgido bagliore turchino,
                perché io,
                io non cedrò.

                Verrò a cercarti quando ti nasconderai
                nel roveto del tuo rifiuto,
                nelle tetre pianure degli addii.
                E sarò silente nel tuo silenzio
                ben desto quando vorrai parlare...
                e nulla più.

                E se dovesse essere questo
                ciò che è vita,
                se non dovesse esserci altro
                che io farò,
                sarà la mia vita
                e la vivrò pienamente...

                (... cercandoti,
                per starti vicino).
                Composta mercoledì 8 maggio 2013
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                  Scritta da: Dario Pautasso

                  Cielo di giada

                  Gettato supino sul villoso prato
                  col cielo di giada che volge al giorno
                  ascolto il passo appesa sospirato
                  delle lumache nel loro cauto ritorno
                  ai bui anfratti, alle segrete loro
                  al doveroso ristoro or che la brina
                  al sol nascente si solleva e scema
                  in vacillanti vapori di fugace bruma.

                  E d'esse, una, che nel braccio mio disteso
                  ha trovato impedimento al natural cammino
                  d'ogni animal notturno quand'è mattino,
                  s'arresta, incerta, finché col corpo teso
                  scivolatami sopra, torna al crocevia
                  dei folti steli d'erbe, ed io illeso
                  tremo al solletico di quel dolce viaggio
                  inciso sull'arto dal lucente segno
                  che tutt'intorno irraggio.

                  Le fronde strepitano al frizzante vento
                  e tra di esse innumerevoli frullii d'ali
                  d'uccelli, che ora paion dieci, ora cento
                  alcuni vociferando aspri, altri sussurrando canti
                  di richiami d'amore o di volgar confronti
                  di chi vive la libertà, e ogni giorno col suono
                  d'ugola che a noi par donato da nude divinità,
                  avanzan leggi sulle di ciascun proprietà.

                  E l'allodola che tra tutti innalza il suo sublime suono
                  e il frenetico merlo, che al suolo schiocca brutale
                  e una gazza che grida rauca il suo gemer infernale
                  e il fischiare fine dello storno
                  e poi ancor di tutti gl'altri passeracei
                  un sol brulicante assolo di contorno,
                  finché il collo incassato e goffo di un airone
                  con l'ampie ali e 'l volo leggiadro e fino
                  dal fremer tutt'intorno distoltami l'attenzione,
                  mi solleva alla mente il ricordo fanciullino
                  d'un giorno cupo, tra le mani un grigio aquilone.
                  Composta domenica 7 agosto 2011
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