La spina

Al pontefice io scrivo
senza essere allusivo,
sarei morto naturalmente
ma vivo artificialmente
ché alla macchina attaccato
la morte ho allontanato.
Immobile trascorro le ore
attaccato al mio dolore,
gli uccellini sento cinguettare
e nel cielo danzare,
a me immobile nel letto
mi fann solo dispetto.
Non è invidia la mia
è solo apatia
è solo la tristezza
di non poter fare più una carezza
di non poter far più un passo
di essere come un sasso.
In silenzio trascorro le ore
sento la macchina che fa da cuore
non è etico vivere in questo modo,
con in testa fisso un chiodo
di staccare quella spina
che alla vita non mi avvicina
dalla morte non mi allontana
ma mi lascia in campana,
che presto possa suonare
per poter annunciare
la fine di questo stato
e il vagito di un neonato
che la speranza possa dare
e la vita far amare.
A voi tutti mi rivolgo
e il disturbo ora tolgo,
non vi attaccate alla vita
finché non è finita,
non fate come il vorace
che non è capace
di assaggiare solamente
ciò che è offerto abbondantemente.
La vita mi ha insegnato
a non esserle attaccato
e di poter apprezzare
tutto quello che ha da dare,
se son gioie o dolori
sono sempre i colori
di colui cha ha disegnato
la vita che ci ha donato,
ma quella artificiale
è come un davanzale
al quale ti puoi affacciare
e il mondo solo guardare.
La vita si mi è cara
la morte non più amara
e consapevole vi chiedo
e da voi mi congedo
quella spina per me staccate
e il riposo a me date.

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    Commenti

    1
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    Una poesia profonda e bellissima. Davvero complimenti!

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