Scritta da: Simone Sabbatini

Equilibrio

Sarà che la memoria in un soldato
non è certo la virtù più trasparente;
ma dell'addestramento e del passato
a questo punto io mi ricordo poco o niente.
I miei compagni, i miei fratelli, noi prescelti
gli stessi gesti, i passi e il solito destino
d'una missione da giocare ad occhi svelti
tra i sogni, i giochi, le dita di un bambino.

Il nostro piccolo cielo s'aprì d'impazienza
e fu subito giorno, i colori, la stanza
odor di battaglia, candida violenza
capire i comandi, il nemico che avanza
Marciamo! – Svanì tutto quanto, mi accorsi
d'avere, io solo, una gamba soltanto.
Sparire: nient'altro soccorso che scorsi
trascinando la fuga, feroce, nel pianto.

Per un attimo inciampò anche la ragione
e credetti d'esser preda della febbre;
ed invece quella splendida visione
non era il frutto delle mie meningi ebbre.
La ballerina stava con le braccia in alto,
il sorriso di carta, fuori dal castello;
la vera guerra cominciò con quell'assalto:
ed ero pronto ad affrontar ogni duello.
Tutta la notte restai fermo a contemplarla
mentre d'intorno chi dormiva e chi viveva;
neppure lei si mosse mai, e a ben guardarla
su un piede solo come me si sosteneva.
Nobile stirpe, lustrini sul vestito
nullatenenza, rozzo cameratismo:
due mondi a parte, rifiuto garantito.
E poi la timidezza, il solo virtuosismo.

Una voce all'improvviso, a notte fonda.
Un troll brutto e peloso, diceva rauco:
stai attento all'indomani! E l'altra sponda
del tavolo raggiunse, il volto glauco
e poi sparì. Lo so cosa pensate:
la notte insonne, l'emozione, la stanchezza...
solo per questo ho visto mostri e fate.
Ma lei era lì, in leggiadria e bellezza.

Si fece giorno, s'aprì quella finestra
fui messo al sole per caso, gioco o sbaglio
fu il vento o cosa? Finii sulla ginestra
sotto il balcone. E non fu certo un abbaglio.
Non sapevo ancora quel che mi attendeva,
nemmeno m'importava: avevo ormai perduto
la mia dolce ballerina. Già pioveva
sul bagnato del mio triste pianto muto.
Di lì a poco mi trovaron due bambini:
sognavo un castello, finii dentro un fosso
su una barca di carta, e tra ratti assassini
nelle fogne sconquassato a più non posso.
Mentre l'acqua minacciava il mio respiro
già la barca sprofondava e si rompeva;
credendo prossimo l'ultimo sospiro
pensai alla bella mia, a cosa faceva.
Per un attimo mi apparve la figura
del troll che la rapiva e poi sposava,
costringendola a una vita da paura
sicuramente trattandola da schiava.
Sentii una forza grande, un fuoco ardente
che non m'ero proprio accorto dell'uscita
dalla fogna alla campagna più ridente:
ma volevo ritornare alla mia vita
alla casa, alla ragazza del castello,
pure al troll, per rovinargli il bel trionfo
dimostrando come un poco di cervello
ti riscatti da qualunque brutto tonfo.
Come fare? Ero disperso non so dove,
la mia nave era disfatta e andavo a fondo
proprio in cima a una cascata. Non si smuove
chi ricerca la sua forza nel profondo.
Fu un bel volo, ma ero intero e mentre ancora
inventavo soluzioni e non ne avevo,
fui scambiato per un verme che ristora
da un enorme pesce gatto. Non sapevo
– come prima – cosa fare. Ma il coraggio,
il sangue freddo: ecco dove ho più valore!
La fortuna ha fatto il resto. Ero ostaggio
e dal ventre della bestia un pescatore
mi salvò, quasi come nel bosco famoso
la ragazza incappucciata con l'anziana.
Ma non venni fuori subito: a riposo
restai su un banco, un ventre morto come tana.

Ci comprò una cameriera, e fui contento
di trovarmi nella villa di partenza:
strana avventura, fine di un tormento.
Tornai ai miei compagni, e con pazienza
avrei potuto conquistare anche il suo cuore.

L'errore è stato questo? Sentirsi salvo?
Non so dirlo. Nel giardino dell'amore
non importa essere storpio, o calvo,
né capire che la ballerina zoppa
ha invece un piede in alto e sta danzando.
Avrei ballato anch'io, e dalla coppa
dei suoi seni attinto al miele. Un suo comando
sarebbe diventato ogni capriccio,
e nessun troll, nessun rivale tra di noi.
Il suo sorriso a me, nessun bisticcio
della mente, vero amore. E dico a voi
che già ridete della mia vana illusione
e non capite invece. Fa così caldo,
sudo lacrime di piombo e d'emozione.
Dentro il fuoco dell'amore non son saldo,
già mi sciolgo. Tanto è forte questo ardore
che mi sembra tutto intorno, queste braci
questi scoppi, e quanto fumo... dal furore
sono preso, mai la sazierò di baci:
il bambino del soldato s'è scordato
– m'ha gettato nella bocca del camino.
Il mio sogno è un bel ricordo arroventato.

Addio piccolo mondo, addio nemico mio
hai vinto, con la tua forza malvagia.
Addio mia innamorata, che triste, brutto addio
ti guardo e tu mi vedi, la testa già si adagia...

Più oltre non riesce, non può andare
a dir della domestica che arriva,
e chissà come vorrebbe raccontare
la porta che s'apre, la folata aggressiva
– lasciva? cattiva? Così poco privata –
che priva al castello la stella sua più bella,
spingendola via sorpresa e inaspettata
al focolare. Una fiammata gemella
dissolve all'unisono i due innamorati
confusi per sempre in un cinereo abbraccio.
In barba a tutti i troll di amori disperati
l'amore nella morte ha unito con un laccio
il militare e l'amata signorina.

Ignaro di tutto qualcuno nel camino
troverà per ripulire domattina
un cuore di piombo e un piccolo lustrino.
Composta lunedì 26 aprile 2010

Immagini con frasi

    Info

    Scritta da: Simone Sabbatini
    Riferimento:
    Liberamente ispirato a "Il soldatino di piombo" di Andersen.

    Commenti

    Invia il tuo commento
    Vota la frase:0.00 in 0 voti

    Disclaimer [leggi/nascondi]

    Guida alla scrittura dei commenti