Scritta da: Simone Sabbatini

Quando il vento sposta gli aghi e le stelle

Nei deserti di pietra del mio rosso rosso cuore,
il cielo appena grigio all'orizzonte più lontano,
mi son svegliato e c'era gente. Tanta gente
conosciuta ma divisa, quasi simiglianza
in blocco ripescata, ma di vista, tra i ricordi.
Indifferente come il gatto al topo morto
mi teneva sotto tiro. Indifferente mi sono mascherato
per fuggire. E c'era un traffico notevole
- nelle ore di gelo si rincorrono luci e lampeggianti,
ventate e rumori, rossi e verdi a non finire
come un fiume che va al mare, o che vorrebbe,
imprecando per il caldo e questa gente che si muove
sempre troppo o troppo poco; e che temevo
mi potesse ritrovare. Poi imprecando se si muore.
Ma sapevo (credo) che la coda distratta
è sempre vigile, e tutto è stato calcolato. Strade nuove,
vie sbagliate, ma imboccate contromano
- sono io con un cucchiaio dentro il culo?
Mi son perso, come sempre: so che questo
brullo colle per ognuno è il Monte del Mai,
mentre scendo e la pianura s'avvicina, ch'è chiamata
Mare del Sempre – salato e asciutto. Tutto il resto resta ignoto.
Lacrime che cadono sulla stessa pietra
davanti a quel palazzo che non voglio più vedere,
e sono mio malgrado sempre lì. Forza è ora di tornare:
ecco lo sterro non tracciato, sulla carta non si vede,
ma conosco ogni pietruzza del sentiero del mio cuore.
Il cielo è già rovente sul mio prossimo orizzonte, la gente
mi prende a braccia aperte, sincera ed affettuosa,
ed io non so se son cambiati, se son io che sono sveglio,
ma sento crescere qualcosa di più forte che il percorso,
che la vita e che la morte: ad uno ad uno già li amo.
Composta venerdì 25 giugno 2010

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