Scritta da: Silvana Stremiz

Allegoria

Il mandarino contenne la sua ira
quando i sevitori tremanti riferirono
che dalla gabbietta aperta il passerotto,
che più di ogni cosa amava, era sparito.
Egli salì sopra la torre
e scrutando il cielo in lontananza
vide l'uccellino che fuggiva
e che, credendo di volare verso il sole,
s'inoltrava fra le nubi di tempesta.
Con terrore pensò al buio della notte
popolato di orribili grifagni
che fra poco avrebbe avvolto
l'improvvido uccellino infreddolito.
Allora fu grande il suo dolore.

Arrivarono da tutto il regno
musici, buffoni e concubine
e le stanze della reggia risuonavano
di allegre musiche di danza.
Ma più niente rallegrava il mandarino.

I mercanti portarono le sete
più lievi fruscianti e colorate
e le gemme preziose incastonate
in splendidi gioielli.
Ma più niente interessava al mandarino.

I maghi allora gli donarono
pavoni finti costruiti
con piume d'oro o di cristallo
e con occhi di zaffiro o rubino
e che dentro avevano un congegno
che imitava il trillo di un uccello.
Ma più niente ingannava il mandarino.

E i savi dottori che venivano
con libri polverosi gli spiegavano
che gli uccelli derivano dai rettili
e che lui si era innamorato
di un piccolo serpente con le piume.
Ma più niente consolava il mandarino.

Tutti i giorni seguenti il mandarino
saliva sulla torre alta
e con un lungo cannocchiale
scrutava il cielo fino all'orizzonte,
incurante delle orde dei nemici
che premevano oltre la muraglia.
Sperava di vedere l'uccellino
volare in lontananza;
e il cielo era solcato
dai voli dei terribili rapaci.

Oh se ti avessi dato
una gabbietta con le stecche d'oro,
oppure avessi costruito per te, nel mio giardino,
con fili invisibili, un'aerea voliera.
Ora ti poseresti felice
fra i cespi delle rose e sopra i rami
dei ciliegi in fiore.
O forse bastava
che io ti parlassi ogni mattina,
e tu saresti qui sulla mia mano.

Ora attendo soltanto
le orde dei nomadi nemici
feroci tagliatori di teste che verranno
dalle steppe immense,
cavalcando diabolici destrieri;
e scaleranno i bastioni di difesa
e irromperanno nella fertile pianura
incendiando i campi di riso e la mia reggia.
Ma più nulla m'importa e io non temo
l'infausto mio destino e la morte atroce
che inesorabilmente, a lunghi passi, si avvicina.

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