Scritta da: Silvana Stremiz
Laudata sii dal figlio
che, compiuti vent'anni
oggi lascia li inganni
ritorna come giglio.
Oggi il candor riceve
sull'anima perduta
della bianca caduta
in terra prima neve,
se la tua mano fina
sì tenera e sì affranta
recando l'Ostia Santa
verso di lui s'inchina.
Egli che tu ben sai
per motivo nessuno
ai ginocchi d'alcuno
non si prostese mai,
ai tuoi ginocchi indice
l'umilicordia e attende
mentre i labbri protende
all'ostia redentrice.
Oggi, lasciati i gaudi
e i canti del Piacere,
solleva l'incensiere
di tutte le sue laudi.
Laudata per l'amore
- il solo di sua vita -
per sua dolce infinita
pazienza nel dolore.
Eretta sullo stelo
o Rosa adamantina
invitta a la ruina,
invitta a lo sfacelo,
la casa il gran valore
sorregge di sue vene,
come i solchi trattiene
la radice di un fiore.
Più che la laboriosa
femina dell'Ebreo,
Madre di Galileo,
o madre mia dogliosa,
voglio esaltarti: voglio
su le tempie che adoro
recingere l'alloro
del mio protervo orgoglio.
Laudata sii. Il greve
peso dell'esser mio
nel mese che un iddio
nasceva su la neve
tu desti in luce. Forse
venne l'Annunciatore
e il bacio del Signore
anche al tuo labbro porse?
O sogno! Allora anch'io
(il supremo che agogno
sogno è raggiunto. O sogno!)
son figlio d'un iddio?

Ho un biasimo solo dal quale
saprai la mia gioia di vita.
Perché non mi hai fatto immortale?

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