Scritta da: Silvana Stremiz

La coltura

Non de' cantati secoli
Invidio i giorni aurati:
Purché tu il voglia, vivere
Potremo i dì beati.
     Tu m'ami, io t'amo; un docile
Legame ambo ci annoda;
Tu me non credi instabile,
Da te non temo io froda.
     Così gioia con Melide
Il Pastorello un giorno
Clio per sentiero incognito
La trasse a rio soggiorno.
     Ma deh! ch'il puoi, l'immagini
Lascia di moda, e ognora
Sol di piacer desidera
A chi solo t'adora.
     Bella tu sei, più candida
Non fin che tu sia mai,
S'anco ti desse Cinzio
I fulgidi suoi rai.
     D'Amor, di Fe, di Venere
Antica è pur la face,
Ma nuova è ancor che amabile,
E nuovo è ciò che piace.
     Mentre, il cantor di Cintia
Seco ad amar l'invita,
Le dice.- Amor è semplice,
Odia beltà mentita.
     Negletta è ver, ma lucida
La chioma è di Nerea;
Tu incolta sembri Pallade,
Colta non sembri Dea.
     Cresce la rosa, e innostrasi
Fresca da sè soltanto;
Più dolce è senza artefice
Degli augellini il canto.
     Pari alla Dive olimpie
Elena ergea la chiome,
Ma ognor fra gli uomin d'Elena
Vive esecrato il nome.
     Non perch'io tema o tenera
Amica, di tua fede:
In sì bel volto ingenuo
La purità risiede.
     Risiede sì; ma candida
Di fregio altro non cura;
Ed ha ragion, ché vendica
I dritti suoi natura.

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