Scritta da: Silvana Stremiz

All'aurora

Tu sali e baci, o dea, co'l roseo fiato le nubi,
baci dè marmorei templi le fosche cime.

Ti sente e con gelido fremito destasi il bosco,
spiccasi il falco a volo su con rapace gioia;

mentre ne l'umida foglia pispigliano garruli i nidi,
e grigio urla il gabbiano su 'l vïolaceo mare.

Primi nel pian faticoso di te s'allegrano i fiumi
tremuli luccicando tra 'l mormorar dè pioppi:

corre da i paschi baldo vèr'l'alte fluenti il poledro
sauro, dritto il chiomante capo, nitrendo à venti:

vigile da i tuguri risponde la forza de i cani
e di gagliardi mugghi tutta la valle suona.

Ma l'uom che tu svegli a oprar consumando la vita,
te giovinetta antica, te giovinetta eterna

ancor pensoso ammira, come già t'adoravan su 'l monte
ritti fra i bianchi armenti i nobili Aria padri.

Ancor sovra l'ali del fresco mattino rivola
l'inno che a te su l'aste disser poggiati i padri.

Pastorella del cielo, tu, frante a la suora gelosa
le stalle, riadduci le rosse vacche in cielo.

Guidi le rosse vacche, guidi tu il candido armento
e le bionde cavalle care a i fratelli Asvini.

Come giovine donna che va da i lavacri a lo sposo
riflettendo ne gli occhi il desïato amore,

tu sorridendo lasci caderti i veli leggiadri
e le virginee forme scuopri serena a i cieli.

Affocata le guance, ansante dal candido petto,
corri al sovran de i mondi, al bel fiammante Suria,

e il giungi, e in arco distendi le rosee braccia al gagliardo
collo; ma tosto fuggi di quel tremendo i rai.

Allora gli Asvini gemelli, cavalieri del cielo,
rosea tremante accolgon te nel bel carro d'oro;

e volgi verso dove, misurato il cammino di gloria,
stanco ti cerchi il nume ne i mister de la sera.

Deh propizia trasvola - così t'invocavano i padri -
nel rosseggiante carro sopra le nostre case.

Arriva da le plaghe d'orïente con la fortuna,
con le fiorenti biade, con lo spumante latte;

ed in mezzo à vitelli danzando con floride chiome
molta prole t'adori, pastorella del cielo.

Così cantavano gli Aria. Ma piacqueti meglio l'Imetto
fresco di vénti rivi, che al ciel di timi odora:

piacquerti su l'Imetto i lesti cacciatori mortali
prementi le rugiade co 'l coturnato piede.

Inchinaronsi i cieli, un dolce chiarore vermiglio
ombrò la selva e il colle, quando scendesti, o dea.

Non tu scendesti, o dea: ma Cefalo attratto al tuo bacio
salia per l'aure lieve, bello come un bel Dio.

Su gli amorosi venti salia, tra soavi fragranze,
tra le nozze de i fiori, tra gl'imenei dè rivi.

La chioma d'oro lenta irriga il collo, a l'omero bianco
con un cinto vermiglio sta la faretra d'oro.

Cadde l'arco su l'erbe; e Lèlapo immobil con erto
il fido arguto muso mira salire il sire.

Oh baci d'una dea fragranti tra la rugiada!
Oh ambrosia de l'amore nel giovinetto mondo!

Ami tu anche, o dea? Ma il nostro genere è stanco;
mesto il tuo viso, o bella, su le cittadi appare.

Languon fiocchi i fanali; rincase, e né meno ti guarda,
una pallida torma che si credé gioire.

Sbatte l'operaio rabbioso le stridule imposte,
e maledice al giorno che rimena il servaggio.

Solo un amante forse che placida al sonno commise
la dolce donna, caldo dè baci suoi le vene,

alacre affronta e lieto l'aure tue gelide e il viso:
- Portami -, dice, - Aurora, su 'l tuo corsier di fiamma!

Ne i campi de le stelle mi porta, ond'io vegga la terra
tutta risorridente nel roseo lume tuo,

e vegga la mia donna davanti al sole che leva
sparsa le nere trecce giù pe 'l rorido seno.

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    Scritta da: Silvana Stremiz

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    postato da , il
    quando puoi vivere x sempre x cosa vivi d'avvero

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