Scritta da: Silvana Stremiz

La notte

Una cotonata a quadretti blu copre il tavolo
e sopra, senza menzogne, sorridenti, arditi
stanno i nostri libri.
Sono un prigioniero, madre mia,
che ritorna al paese
da una fortezza nemica.
È l'una di notte
la lampada è ancora accesa.
Al mio fianco è coricata mia moglie
mia moglie
incinta di cinque mesi.
Quando la mia carne tocca la sua
quando le poso la mano sul ventre
il bimbo si muove un poco.
Sul ramo la foglia
nell'acqua il pesce
nella matrice il piccolo dell'uomo. Mio piccolo.
La camiciola di lana rosa
per il mio bambino
l'ha sferruzata sua madre
è grande come la mia mano
con le maniche appena così.
Mio piccolo.
Se sarà femmina
voglio che sia sua madre dalla testa ai piedi,
s'è maschio, che sia della mia statura.
S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato
s'è maschio, azzurri.
Mio piccolo.
Non voglio che a vent'anni t'ammazzino
se sei maschio, al fronte
se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.
Mio piccolo.
Femmina o maschio
a qualsiasi età
non voglio che tu conosca il carcere
per essere stato dalla parte del giusto
del bello, della pace.
Ma so bene
figlia mia
o figlio mio
che se il sole tarderà molto a sorgere
dalle acque
dovrai combattere e anche...
Insomma oggi, da noi, è un ben duro mestiere
essere padre.

È l'una di notte.
La lampada non l'abbiamo ancora spenta.
Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino
la mia casa conoscerà
ancora un'altra irruzione della polizia
e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro.
I questurini della politica
mi prenderanno in mezzo
e io mi volterò indietro a guardare:
mia moglie sarà sulla soglia
davanti alla porta
il vento del mattino
gonfierà la sua gonna
e nel suo ventre pesante
il bambino si muoverà un poco.

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