Le migliori poesie di Ugo Foscolo

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Scritta da: Silvana Stremiz

A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Ugo Foscolo
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Canto primo

    Quando l'Eterno passeggiò col guardo
    Tutto il creato, diffondendo intorno
    Riso di pace, e fiammeggiar si vide
    Nè cieli il Sole, e rotear le stelle
    Dietro la dolce-radïante Luna
    Tra il fresco vel di solitaria notte,
    E germogliò natura, e al grigio capo
    Degli altissimi monti alberi eccelsi
    Fèro corona, e orrisonando udissi
    L'ampio padre Oceàn fremer da lungi;
    Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni
    Scese Giustizia, e i fulmini guizzando
    Al fianco le strideano, i dispersi
    Crini eran cinti d'abbaglianti lampi.
    In alto assisa vide ergersi il fumo
    D'innocuo sangue, che fraterna mano
    Invida sparse, e dagli vacui abissi
    A tracannarlo, e tingersi le guance
    Morte ansante lanciossi: immerse allora
    La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta
    Piombò su l'orbe, che tacque e crollò.
    Ma fra le colpe di natura infame
    Brutta d'orrore la tremenda Dea
    Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto
    E le aggruppate chiome ad ogni scossa
    Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi
    S'udia l'inferno e la potenza eterna
    Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve
    Contaminata la Giustizia fera,
    E al sozzo pondo dell'umane colpe
    Le suo immense bilance cigolaro;
    Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde
    Inabissata nel tartareo centro.

    L'Onnipossente dal più eccelso giro
    Della sua gloria, d'onde tutto move,
    Udì le strida del percosso mondo,
    E al ciel lanciarsi la ministra eterna
    Vide: accennò la fronte, e le soavi
    Arpe angeliche tacquero; e la faccia
    Prostraro i cherubini, e '1 firmamento
    Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno,
    Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere
    Ondeggeranno quasi lievi paglie
    L'audaci moli; le turrite cime,
    D'un astro allo strisciar, cenere e fumo
    Saranno a un tratto; tentennar vedrassi
    Orrisonante la sferrata terra,
    Che stritolata piomberà nel lembo
    D'antiqua notte, fra le cui tenèbre
    E Luna e Sol staran confusi e muti;
    Negro e sanguigno bollirà furente
    Lo spumante Oceàn, rigurgitando
    Dall'imo ventre polve e fracid'ossa,
    Che al rintronar di rantolosa tuba
    Rivestiran lor salma, e quai giganti
    Vedransi passeggiar su le ruine
    Dè globi inabissati! E morte e nulla
    Tutto sarà: precederammi il foco,
    Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle,
    Armate il braccio ed infiammato il volto,
    Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo
    Scenda sino a quel giorno, e di tremenda
    Giustizia fermi l'instancabil brando.
    Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille
    Voci di gaudio, dell'Eterno al trono
    Le ginocchia piegò; stese la palma
    Il Re dei re su la chinata testa,
    E l'unse del suo amor. Udissi allora
    Spontaneamente volteggiar pè cieli
    Inno sacro a Pietà: m'udite attenti
    E terra e mar, e canterò; m'udite,
    Chè questo è un inno che dal ciel discende.
    Ugo Foscolo
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La campagna

      O tu cantor di morbidi
      Pratei, di dolci rivi,
      Che i verdi poggi, e gli alberi
      Soavemente avvivi
      Con gli armonici versi
      Da fresche tinte aspersi,

      Odi un poeta giovane,
      Che il genio che l'ispira
      Devoto siegue, e libero
      Percote ardita lira,
      E cò suoi canti vola
      Al suo gentil Bertòla.

      Fra campestri delizie
      Tranquillo e lieto io vivo.
      E col pensier fantastico
      Tra me canto e descrivo
      Sì vaghi paeselli,
      Che ognor sembran novelli.

      Pingo; ma resto attonito
      Allor che su i tuoi fogli
      Veggo fiorire, e sorgere
      Pianto e marini scogli,
      Che sembrano invitarmi
      A sacrar loro i carmi.

      Da me s'invola subito
      Il mio picciol soggiorno,
      E sol veggo Posilipo
      E il mar che vanta intorno
      Di Mergellina il lido
      Ameno più che Gnido.

      Estatici contemplano
      Tuoi campi i cupid'occhi:
      O come allor nell'anima
      Sento beati tocchi,
      Che mi dicono ognora:
      Sì dolce vate onora.

      Salve, dunque, del tenero
      Gesnèr felice alunno!
      Il lor poeta adorino
      D'aprile e dell'autunno
      Le Grazie e i lindi Amori
      Coronati di fiori.

      Il lor poeta adorino
      Le serpeggianti linfe,
      E dai monti scherzevoli
      Scendan le gaje Ninfe,
      E alternin baci in fronte
      Al tòsco Anacreonte.

      Ed io tesso tra cantici
      Ghirlandetta odorosa
      Non d'orgogliosi lauri,
      Ma sol d'umida rosa,
      E il capo ombreggio al molle
      Abitator del colle.

      E in cor brillante io dico:
      Questa dona Natura
      Al suo più ingenuo amico,
      Ch'ella d'altro non cura:
      Da lui schietto-dipinta
      Di fior va anch'ella cinta.
      Ugo Foscolo
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        A Dante

        Alto rombano i secoli
        Su rapidissim'ali,
        E dall'aere giù vibrano
        Dritti infiammati strali
        Che additano agl'ingegni
        D'eterna gloria i segni:

        Ma qual nebbia! Qual livido
        Umor spargon dai vanni
        Che in fetida caligine
        Attomban nomi ed anni,
        E rodono quel serto
        Che ombreggia un tenue merto!

        O mio Poeta, o altissimo
        Signor del sommo canto,
        Che con sublime cetera
        Per la casa del pianto
        Girasti, e fra la gente,
        Che o gioisce, o si pente,

        Tu vivi eterno. - Gloria
        Di suo fulgor ti cinse,
        Tuonò sua voce; un fulmine
        Fu per chi ti dipinse
        Testor stentato, oscuro
        Di carmi e stile impuro.

        Pèra! La lingua sucida
        Costui nutra nel sangue,
        E per delfici lauri
        Gli accerchi invece un angue,
        Sanie stillante infesta,
        L'abbominevol testa.

        Dicesti: ed ecco stridono
        In suon ringhiante e forte
        Gli aspri tartarei cardini:
        Della cappa di morte
        Infino à più vestute
        Ecco l'Ombre perdute.

        Io già le ascolto: echeggiano
        Per l'aer senza stelle
        Batter di man, bestemmie,
        Orribili favelle,
        Voci alte e fioche, accenti
        D'ire in dolor furenti.

        O Padre! O Vate! Un giovane
        Cui l'estro ai cieli innalza,
        Che pel genio che l'agita
        Fervidamente sbalza
        A inerudita cetra
        Canti spargendo all'etra,

        A te si prostra: un'anima
        Che in sè ognor si ravvolge,
        Che in ermi boschi tacita
        Fugge dall'atre bolge
        Di cittadino tetto,
        Gl'irraggia l'intelletto.

        Di sapienza nettare
        Fra mie voglie delibo,
        E, meditante, ai spiriti
        Porgo l'augusto cibo
        Che questa etade impura,
        Famelica, non cura.

        Muta di luce eterea
        Alle peccata in grembo
        Fra cupo orror s'avvoltola
        L'Umanità: il suo lembo
        Spruzzi di sangue stilla,
        Ed ella va in favilla.

        Ma ira di giustizia
        Lui che può ciò che vuole
        Ruggisce in cielo, e scaglia
        Di spavento parole;
        Vennero i giorni alfine
        Di piaghe e di ruine.

        Vennero si; ma sorgere,
        Giganteggiando, i nostri
        Carmi vedransi, e liberi
        Calpestare què mostri
        Che tumidi d'orgoglio
        Siedono ingiusti in soglio.
        Ugo Foscolo
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La verità

          Sino al trono di Dio
          anciò mio cor gli accenti,
          Che in murmure tremendo
          Rispondono i torrenti,
          E dalla ferrea calma
          Delle notti profonde
          Palma battendo a palma
          Ogni morto risponde.

          D'entusïasmo ho l'anima
          Albergo; e sol d'un Nume
          Io son cantor: degli angeli
          L'impenetrabil lume
          Circonda il mio pensiero,
          Ch'erto su lucid'ali,
          Sprezza l'invito altero
          Dè superbi mortali.

          E coronar di laudi
          Dovrò chi turpe e folle
          Splendido sol per l'auro
          Sa l'orgoglio s'estolle?
          Che dir deggio di lui?
          Pria di giustizia il brando
          Sù forti bracci sui
          Vada folgoreggiando;

          E canterò. Nettarea
          Da me non cerchi ei lode,
          Se a lutulenta in braccio
          Sorte tripudia e gode,
          E tra un'immensa schiera
          D'insania al carro avvinto
          scioglie con sua man nera
          A iniquitate il cinto.

          E tu chi sei che il titolo
          Santo d'amico usurpi?
          E vile d'amicizia
          L'aspetto almo deturpi?
          Chi sei tu che m'inviti
          Di gloria a spander raggio
          E a sciòrre inni graditi
          A chi in virtù è selvaggio?

          Non sai che santuario
          Al ver nell'alma alzai
          E che io del vero antistite
          Sempre d'esser giurai?
          Non sai che mercar fama
          Da tal canto non curo,
          E più dolce m'è brama
          Sul ver posarmi oscuro?

          Vero suonò di Davide
          Il pastoral concento,
          E a Dio piacque il veridico
          Suono, e tra cento e cento
          L'unse à popoli ebrei
          Rege di pace, e adorni
          D'illustri eventi e bèi
          Fè dell'uom giusto i giorni.

          E immagine d'obbrobrio
          Vuoi tu farmi, o profano?
          Oh! quell'immonda faccia
          Copriti con la mano
          Lungi da me: chi fia
          Cui faccian forza i detti
          Ch'io l'alta cetra mia
          Di ricca peste infetti!

          Garrir fole non odemi
          L'atrio di adulazione,
          E in questa solitudine
          Dall'aurata prigione
          Fuggo; esecrando il folle
          Che blandisce con mèle
          Il grande; e in sen gli bolle
          Rancor, invidia, e fiele.

          Dunque chi vuol, d'encomio
          Canti impudente intuoni
          Per lo tuo eroe; ch'io cantici
          Fra gli angelici suoni
          Ergo al Solopossente,
          Che dall'empirea sede
          Gl'inni in letizia sente
          Di verità e di fede.
          Ugo Foscolo
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il desiderio

            Io non invidio ai vati
            Le lodi e i sacri allori,
            Nè curo i pregi e gli ori
            D'un duce o d'un sovran.
                 Saran miei dì beati
            Se avrò il mio crine cinto
            Di serto vario-pinto
            Tessuto di tua man.
                 Saran miei dì beati
            Se in mezzo a bosco ombroso
            Il volto tuo vezzoso
            Godrommi a contemplar.
                 Che bel vederci allora
            Mille cambiar sembianti,
            E direi: O cori amanti,
            Cessate il palpitar!
            Ugo Foscolo
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Odi che il bronzo rimbombando langue,
              E l'ultimo momento
              Morte si strappa, e sul tuo volto esangue
              Stende le man:... sei spento.

              Urlan le furie accapigliate, e intorno
              Stanti con folta notte,
              Chè alfine di putredine il soggiorno
              Con gli abissi t'inghiotte.

              O tu, folle! sperasti altro compenso
              Dall'empietà che teco
              Negra impresa di sangue, e volo immenso
              Tentò eretta del cieco

              Ardir su l'ali? accumulare i scempi
              Dè tiranni piú rei,
              Non re, sapesti; ma percoton gli empi
              Non chimerici Dei.

              Invan gloria sognasti, il grido invano
              Tu dè secoli udisti,
              Ch'or plausi turpi d'uno stuolo insano
              A esecrazion van misti.

              Vincesti? e invan; regnasti? e invan, superbo,
              Chè con destra di possa
              Dè giusti il Dio del tuo comando acerbo
              La catena ha già scossa.

              Veggio l'empio seder amplo in suo orgoglio
              Qual di monte ombra in campo;
              Sublime al par di cedro erge suo soglio;
              Ma squarcia l'aer un lampo;

              Tosto il veggio tremar, piombar, sotterra
              Cacciarsi al divin foco;
              Invan lo sguardo mio cercandol erra,
              Nemmen conosco il loco.
              Ugo Foscolo
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Che stai?

                Che stai? Già il secol l'orma ultima lascia;
                dove del tempo son le leggi rotte
                precipita, portando entro la notte
                quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

                Che se vita è l'error, l'ira, e l'ambascia,
                troppo hai del viver tuo l'ore prodotte;
                or meglio vivi, e con fatiche dotte
                a chi diratti antico esempi lascia.

                Figlio infelice, e disperato amante,
                e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
                giovine d'anni e rugoso in sembiante,

                che stai? Breve è la vita, e lunga è l'arte;
                a chi altamente oprar non è concesso
                fama tentino almen libere carte.
                Ugo Foscolo
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