Poesie di Torquato Tasso

Scrittore, poeta e drammaturgo, nato sabato 11 marzo 1544 a Sorrento (Italia), morto martedì 25 aprile 1595 a Roma (Italia)
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Ma non perciò nel disdegnoso petto
d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco,
benché suo foco in lui non spiri Aletto,
né flagello infernal gli sferzi il fianco.
Rota il ferro crudel ove è più stretto
e più calcato insieme il popol franco;
miete i vili e i potenti, e i più sublimi
e i più superbi capi adegua a gli imi.
Torquato Tasso
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    Scritta da: Cheope

    Pianto della notte

    Tacciono i boschi e i fiumi,
    e'l mar senza onda giace,
    ne le spelonche i venti han tregua e pace,
    e ne la notte bruna
    alto silenzio fa la bianca luna;
    e noi tegnamo ascose
    le dolcezze morose.
    Amor non parli o spiri,
    sien muti i baci e muti i miei sospiri.
    Qual rugiada o qual pianto,
    quai lagrime eran quelle
    che sparger vidi dal notturno manto
    e dal candido volto de le stelle?
    E perché seminò la bianca luna
    di cristalline stelle un puro nembo
    a l'erba fresca in grembo?
    Perché ne l'aria bruna
    s'udian, quasi dolendo, intorno intorno
    gir l'aure insino al giorno?
    Fur segni forse de la tua partita,
    vita de la mia vita?
    Torquato Tasso
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Morte di Clorinda

      Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
      che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
      Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
      che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
      e la veste, che d'or vago trapunta
      le mammelle stringea tenera e leve,
      l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
      morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.

      Segue egli la vittoria, e la trafitta
      vergine minacciando incalza e preme.
      Ella, mentre cadea, la voce afflitta
      movendo, disse le parole estreme;
      parole ch'a lei novo un spirto ditta,
      spirto di fé, di carità, di speme:
      virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella
      in vita fu, la vuole in morte ancella.

      - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
      tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
      a l'alma sì; deh! Per lei prega, e dona
      battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. -
      In queste voci languide risuona
      un non so che di flebile e soave
      ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
      e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.

      Poco quindi lontan nel sen del monte
      scaturia mormorando un picciol rio.
      Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,
      e tornò mesto al grande ufficio e pio.
      Tremar sentì la man, mentre la fronte
      non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
      La vide, la conobbe, e restò senza
      e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

      Non morì già, ché sue virtuti accolse
      tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
      e premendo il suo affanno a dar si volse
      vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.
      Mentre egli il suon dè sacri detti sciolse,
      colei di gioia trasmutossi, e rise;
      e in atto di morir lieto e vivace,
      dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace. "

      D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,
      come à gigli sarian miste viole,
      e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
      sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
      e la man nuda e fredda alzando verso
      il cavaliero in vece di parole
      gli dà pegno di pace. In questa forma
      passa la bella donna, e par che dorma.
      Torquato Tasso
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