Le migliori poesie di Orazio (Quinto Orazio Flacco)

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Scritta da: Jade S

Carpe diem

Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te
quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri,
o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà:
se molti inverni Giove ancor ti conceda
o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde
del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino
– breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo
e fugge il tempo geloso: cogli l'attimo, non pensare a domani.
Orazio (Quinto Orazio Flacco)
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    Per tutti gli dei che in cielo governano
il genere umano e la terra, 
cos'è questo fermento? Perché tutte
mi guardate con occhi truci? 
Per i tuoi figli, se a presenziare un tuo parto
Hai mai invocato Lucina, 
per questo vano ornamento di porpora, 
per Giove che questo condanna, 
dimmi, perché mi guardi come una matrigna
o una belva ferita?
    Così con voce tremante pianse il fanciullo,
    quando impietrito fu spogliato,
    un corpo immaturo che avrebbe intenerito
    l'empio cuore dei traci.
    Canidia allora, che fra i capelli arruffati
    ha nodi guizzanti di vipere,
    ordina che su fiamme della Còlchide
    siano arsi cipressi funebri,
    caprifichi divelti dai sepolcri,
    uova di rospo viscido
    sporche di sangue, penne di civetta,
    erbe che vengono da Iolco
    o dall'Iberia, patria di veleni, e ossa
    strappate ai denti di una cagna.
    Sàgana intanto, discinta e con i capelli
    irti come riccio di mare
    o cinghiale in fuga, sparge in tutta la casa
    acqua del lago Averno.
    Veia, che non è distolta da alcun rimorso,
    scava a colpi di zappa
    la terra, gemendo per la fatica:
    qui seppelliranno il fanciullo
    con solo il capo che affiora, come chi nuota
    fuori dell'acqua ha solo il mento,
    perché davanti ai cibi sempre nuovi e freschi
    abbia a morire lentamente:
    col midollo estratto e il fegato inaridito
    si farà così un filtro d'amore,
    quando le sue pupille sbarrate sul cibo
    vietato si saranno spente.
    Era presente anche Folia, la riminese
    (così si crede a Napoli

    fra gli sfaccendati e nelle città vicine),
    che ama le donne come un uomo
    e per magia con l'incanto della sua voce
    strappa dal cielo luna e stelle.
    E Canidia, livida di rabbia, rodendosi
    coi denti l'artiglio del pollice,
    senza ritegno disse:
    'Dell'opera mia
    fedeli testimoni,
    Notte e Luna, regina del silenzio,
    al tempo dei sacri misteri,
    ora, ora assistetemi e l'ira divina
    volgete sulle case ostili.
    Mentre le fiere si nascondono negli orridi,
    abbandonate a un dolce sonno,
    fate che i cani di Suburra latrino
    contro quel vecchio traditore e tutti ridano,
    profumato così com'è di nardo,
    che migliore non saprei fare.
    Ma perché, perché non hanno effetto i veleni
    spietati della barbara Medea?
    Con questi, in fuga, si vendicò della figlia
    del grande Creonte, la superba rivale,
    quando il peplo avvelenato, datole in dono,
    tra le fiamme rapì la sposa in fiore.
    Nessuna radice nascosta in luoghi impervi,
    nessuna erba m'è sfuggita,
    e il letto, in cui dorme, tutte le mie rivali
    dovrebbe per malia fargli scordare.
    Per gli incantesimi d'un'altra maga, ahimè,
    più sapiente, se ne va libero.
    Ma ora, Varo, dovrai piangere a lungo:
    per effetto di un filtro inusitato
    correrai da me e a me tornerà il tuo cuore
    non più attratto da cantilene marsiche.
    Filtro più forte ti preparerò, più forte
    te lo mescerò, visto che mi odi,
    e il cielo sprofonderà nel mare e su questo
    si stenderà la terra,
    se tu per me non arderai d'amore
    come la fiamma nera del bitumè.
    A queste minacce il fanciullo più non tenta
    d'intenerire quelle scellerate,
    ma dopo lo smarrimento rompe il silenzio e
    lancia, come Tieste, la sua maledizione:
    'I filtri non possono mutare il destino
    degli uomini, giusto o ingiusto che sia.
    Vi maledirò; e questa maledizione
    nessun sacrificio potrà espiarla.
    Quando, messo a morte, sarò spirato, innanzi
    vi comparirò nella notte come un demone,
    larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
    perché questo possono i morti,
    e pesando sui vostri cuori inquieti,
    nel terrore vi ruberò il sonno.
    Nei villaggi da ogni parte la folla
    vi lapiderà, streghe maledette,
    e avvoltoi e lupi sull'Esquilino
    dilanieranno le vostre membra insepolte:
    questo dovranno vedere i miei genitori,
    che, ahimè, mi sopravviverannò.
    Orazio (Quinto Orazio Flacco)
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