Scritta da: Nello Maruca
in Poesie (Poesie personali)
Caducità
Infra tanti boccioli è un sol giglio
a simboleggiar l'amore che ti voglio.
Caducità di rosa indica quanto
esser privo di te potrei, non più di tanto.
Composta lunedì 30 novembre 1998
Infra tanti boccioli è un sol giglio
a simboleggiar l'amore che ti voglio.
Caducità di rosa indica quanto
esser privo di te potrei, non più di tanto.
Quel che raggiante pria ora uggioso
è viso ché corpo al veleggiante
legno è presso, pensiero altro loco
posato già sua passione vede
indi i begl'occhi a lacrimare cede
mentre a lento andar scompar naviglio.
Per dir dolor ch'opprime all'altrui è pari
dappresso al boccaporto invia segnale
chi straziato al molo posato ha cuore.
Strazio restato è su molo freddo,
strazio galleggia su schiumos'onda.
Vuoi per mola, per faccia ed andatura,
per volgarità d'animo e costumanza,
per trivialità di far la sua pastura*
da porcara, dei porci ha stessa usanza.
Il puzzo che sprigiona è come puzzola,
più di vipera ha dente avvelenato;
subdolo insetto al pari di tignola
cui l'operare il male è gusto innato.
Di cattiveria pregno il suo giaciglio,
tutt'intorno l'aria puzza del Maligno
e manco l'incenso dato a gran sparpaglio
riesce a profumar quel volto arcigno.
Spregevole più di Circe per tranelli
ch'avea, però, un corpo snello e bello
e tramutava in porci questi e quelli
onde tenere Ulisse nel suo ostello.
A differenza ha vita orripilante,
maestra nel ferire esseri in norma,
nessun per essa mai fu spasimante
mancante essa di modi, d'arte e forma.
Se maggiore uso dello specchio avesse,
se riuscisse a contemplarsi dentro,
se sol di coscienza a conoscenza fosse
vedrebbe la lordura cui sguazza al centro.
D'umano parmi sì, ch'abbia qualcosa:
é un grave atteggiamento a lavandaia;
no! Per la categoria è offesa a iosa
in quanto oggetto dell'immondezzaio.
Sento da sempre dir con insistenza
di somiglianza con altrui presenza;
da tempo studio, io, ciascuna usanza
e, incontrato mai ho l'uguaglianza.
Quel che qui dico può sembrar non vero
E senza scambiare il bianco per il nero
Vagliamo bene assai la circostanza
Ed alla cosa diamo giusta importanza.
Consideriamo il dotto e lo sciancato:
Il primo se la fa con l'avvocato
l'altro con le persone abominate
seguono, perciò, vie divaricate.
Or l'umile guardiamo e l'orgoglioso:
Il primo in un cantuccio resta pensoso
l'altro, a testa alta, baldanzoso
passeggia col suo fare spocchioso.
Prendiamo ad esempio la marchesa,
con chi, secondo voi, ha la sua intesa?
Certo non con l'onest'uomo di paese
ma col suo pari rango, nobile marchese.
la nobildonna dai guantoni bianchi
malaticcia, occhi cerchiati e stanchi
porta il suo velo sia per eleganza
quanto mostrare agli umili importanza.
Di sul calesse dal mantice nero
trainato da nobile destriero
non un sorriso spento, non uno sguardo
manco all'inchino di stanco vegliardo.
Luminoso diviene il cereo viso
e la sua bocca è tutta gran sorriso
se solo scorge da lontano il ricco
anche se nell'andare è smorto e fiacco.
Il capufficio, poi, lo ben sapete
mostrare preminenza ha grande sete.
I dipendenti inchioda a scrivania
a spregio e dell'amore e d'armonia.
Ancor quando innocenza in aria affiora
niuno accostamento vedo, poi, ancora,
tra il magistrato e il malcapitato
ché poco o tanto resta bacchettato.
La pari dignità tanto cantata
da quest'umanità già traviata,
misconosciuta in ogni umano gesto
solo giustifica è d'enorme guasto
al fine che al finir di vita terrena
sminuita possa essere la pena
al cospetto del Giudice Divino
come se a giudicar fosse un padrino.
Ha una rosa il mio giardino
dall'arbusto senza spino;
germogliata è in gennaio,
primo fiore del mio vivaio.
Dalla nascita che fu
quarant'anni e poco più
l'orticello è impreziosito
di quel fiore assai pulito
c'hà l'odore e lo splendore
più di altro ogni bel fiore.
Non è fiore nel mondo intero
più verace e più sincero.
Non è fiore in primavera
tali odori da mane a sera.
Dalle Ande agli Appennini
degli Urali ai confini
per quanti siano fiori
non trovi quegl'odori.
Scarso l'orto è d'averi
ma tal* ricco è il suo vivaio * talmente
che copre ogni divario.
Fummo perch'eravamo quand'ancor
erano vitali, focosi e fermi Lor;
or più non siamo perché saremmo solo
se confissi rimasti fossimo in suolo
e fosse in noi presenza vista di Loro
e nostre ovazioni al Ciel fossero coro;
contenti ancor vivremmo com'allora,
quel ch'eravamo allora saremmo ancora.
Ma più non è e, più mai così potrà
ch'ognuno disperso s'è dritto sentiero,
colui che s'accompagna mai vorrà
che si ritrovi quel sentiero primiero.
China la fronte a ciò che a lor piace,
imbelli seguitiamo l'altrui volere,
ad altra volontà noi si soggiace.
Non intelletto umano ma sol di fere.
La bontà, è risaputo, qualità
è del cornuto che quand'anco la sua donna
trova a letto con l'amico a sfregarsi
l'ombelico, li osserva desolato
e per mera umanità, avvilito,
se ne va..
Poi credendo che l'amico dipartito
si sia già, come d'uso d'ogni dì,
torna a casa al mezzodì; da sull'uscio
fragoroso ode il riso degl'amanti
e allora cosa fà? Scoraggiato
se ne va.
Attraversa il ponte grande, scende giù,
verso la valle, si sofferma sulla sponda,
guarda l'acqua gorgogliante: si lo fò.
Indi pensa alla sua donna, indietreggia
di un bel po': Poverina! Non lo fò.
Ed allora cosa fa? Mogio, mogio
se ne va.
La campana dondolante dona l'ora
della sera, il profumo delle viole
sta a nunziare la primavera;
Lui è solo nei suoi pensieri: a quest'ora
ancor lo trovo? Certo no!, è ora di cena.
Farfugliando in questo dire verso casa
s'incammina.
Mentre il sole cala a ponente
avanzando lentamente, con il cuore
palpitante guarda in alto, ahimè
chi vede? È l'amico alla veranda
che ridendo sta cenando. Si domanda:
Mo che fò? Più lontano me ne vo.
Poi, intanto, la campana dalla vetta
al campanile lenta batte mezzanotte;
con in cuore speranze vane fa ritroso
il suo cammino, alla luce della luna
della casa ai gradini stancamente
s'incammina e la chiave nella toppa
ruota lento, pian pianino e con fare
quasi furtivo alla camera da letto
tristemente s'avvicina. La sua donna
con la guancia è distesa sulla pancia
dell'amante ch'è d'accanto. Indietreggia,
va in cucina, un trinciante stringe
in pugno e s'avventa alla consorte
e dell'uomo fa stessa sorte. Poi s'accascia
lentamente e riposa, finalmente.
Pure questo è risaputo qualità
è del cornuto. N. Maruca.
Quell'essere cattivo, pestilente
come canna al vento è fluttuante,
alfine di ferire l'umanità
passa dall'una all'altra malignità.
Gode nel vedere dell'altrui le pene
ché il male in petto tiene, non il bene;
la dignità per esso è cosa insulsa,
come l'umanità gli è di ripulsa.
Ascolta! mio Signore, non far l'ingrato:
trasportalo dov'è pace e sia "beato".
Se posto più non è ch'è esaurito
Fa che in inferno arda all'infinito.
Dapprima all'uomo Iddio donò la vita,
del costato di lui donna formò ardita,
d'ella ad Adamo regalò il sorriso
assieme a regale casa in Paradiso.
Nasce, così, il connubio umano
ch'essendo buono diventa tosto strano
tanto che pur di cristianità esser dottrina
stringi una mano e presto sei in berlina.
Finché il giorno arrivò del matrimonio
giammai fu Adamo d'abominio a Dio.
Sempre fedele fu agl'insegnamenti,
mai il proibito toccò degl'alimenti.
Ma quando ch'ebbe con egli la compagna
lasciossi intenerire da sua lagna;
a viso bello, in personaggio abietto,
resistere non seppe, poveretto!
Onde non essere ad ella in dispiacere
fece quel ch'era d'ella il suo volere:
Avido ingurgitò il frutto proibito
che penzolava dall'albero lì sito.
Subito preso fu da gran terrore
e d'incontrare Iddio ebbe timore;
paura aveva d'essere trovato
ma fu scovato e lesto fu scacciato.
Errabondo va l'uomo da quel dì
per la scomunica ch'addosso gli finì,
per colpa della donna maledetta
l'umanità ridotta è alla distretta.
Beato chi da sol vita conduce
ché, d'essa a fine, finisce nella Luce.
Il Maligno da sé ha distanziato
giacché donna in vita ha mai amato.
Per quel che sopra è detto, o uomo saggio,
deserta il tristo tuo retaggio
e da cattiva lonza stai in lontananza
poiché lupo la veste perde, non l'usanza.
O Genitori che state sotto ai pini
Udite la mia prece o miei divini,
sentite quanto grande è il pentimento
di me che non ho colto il buon momento.
Di stupidità pervasa la mia mente
Indegnamente fui da Voi assente
Ed or che più rimediar non posso
Il danno rimpiango e il tempo lasso
E me compiango di quanto non fui lesto
E per quanto vile fu ogni mio gesto
Nel trascurare per bramosia i Vostri affanni
ArrecandoVi assai molti più danni.
Per i dovuti e mancati omaggi
Perdono: la mia prece è per Voi oggi,
finché vivrò nel profondo del petto Vi terrò
e sempre nei pensieri reconditi Vi avrò.
Del male fatto assai molto mi dolgo
E a Voi Anime elette mi rivolgo:
Alfin che trovi la perduta calma
Raggiunga il perdon Vostro la mia alma.