Le migliori poesie di Nello Maruca

Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi, in Racconti e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Nello Maruca

Eredità

Di un padre moribondo
scriveva Passeroni
che al letto chiamò al bordo
per mai aver tenzoni
i dieci figlioletti
che tutti tiene in petto.
Dà un mazzo di bacchette
legate strette strette.

Chi rompe, dice, il fascio
e mi mostra possanza
ogni ricchezza lascio
e gli altri restan senza.
Dall'uno all'altro
così, il fascio passa
ma niun pur forte e scaltro
lo sfascia di sua possa.

Ad ogni figlio, allora,
solo una verga dona,
spezzatela, qui, ora
e avrete il vostro dono.
E tutte in un istante,
l'ha scritto Passeroni
le verghe furo infrante.
Ecco or qui il dono:

Se lontan da voi le risse,
cagion di debolezza
le avrete regola fissa
vi avrete una corazza.
Se lontano le contese
invece vi terranno
per niun nemico è impresa
donarvi pena e affanno.

Pure i debolissimi
che pensavanvi pria forti
saran per voi fortissimi
se voi sarete smorti.
L'ha scritto Passeroni,
pur'altri prima ancora,
io ne confermo il vero
che ne son prigioniero

Non sono, pertanto, alcuno
perché mi persi ognuno.
Perciò tenete cura,
Per evitare sciagura,
Di rimanere tutt'uno.
Nello Maruca
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    Scritta da: Nello Maruca

    Il compleanno

    Questa sera un po' depresso
    Resto al bordo del mio letto,
    sono incerto sul da fare:
    Dormire o qualcosa ideare?
    Ora il pendolo s'è desto
    E rintocca mezzanotte.
    La mia sposa è già dormiente,
    io mi stendo lentamente.
    Poi mi alzo, pian pianino,
    per lasciar tranquillo il nido,
    al mio tavolo m'accosto
    e comincio con far lesto
    la stesura di quest'inno
    pel vegliardo novantenne.

    Zio Gustavo uomo retto
    Dal suo fare quasi perfetto
    Ha saputo col suo stile
    Superare il tempo ostile.
    Nel decorso di sua vita
    Ha sofferto e ha patito
    Ma ha saputo degnamente
    frenare cuore e mente.
    Tempo, oggi, dell'avvento
    Captato ha l'evento
    Radunando al suo cospetto
    Tutti quelli ch'à nel petto.

    E con stima e con amore
    Dal profondo d'ogni cuore
    Noi porgiamo l'augurio
    In questo giorno di tripudio.
    Nello Maruca
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      Scritta da: Nello Maruca

      L'ultimo viaggio

      Quand'io, alla soglia della quarantina,
      lesto partisti, Padre, una mattina
      per la lustra via, verso il Ciel turchino
      perché ultimato avevi il tuo cammino.

      Precoce il viaggio fu, senza ritorno
      ed io d'allora mi riguardo intorno
      nella vacua speme di vederti un giorno
      seduto, nell'ampio e grigio soggiorno.

      Ma non udranno più mie orecchie il suono
      dei regali passi toccare il suolo
      che non più in terra, ma pel Cielo sono
      leggeri, al pari degl'uccelli volo.

      Nell'alto Loco, tutto dorme e tace,
      e solo è serenità, amore e pace.
      Qui cattiveria è d'uccello rapace;
      e mai la terra ha conosciuto pace.

      Resta, perciò, o Pà, in Casa del Signore
      donde lo puoi onorare a tutte l'ore.
      Nello Maruca
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        Scritta da: Nello Maruca

        CXLIV

        Quando la meta già tocca la mano
        qualcosa di contorto allora appare
        bloccando, nel mezzo, il camminare
        e lo percorso vinto rende vano.

        Boccheggiante, giovane francescano
        correndo supera portico e Altare
        e un non so che riesce a balbettare
        a fiato grosso, faccia e occhio strano.

        Passa minuto che par lunga attesa,
        riesce a stento dire suora Brunetta
        caduta monte donna Maria Marchesa.

        Vocio, singultire di donne sfatte
        è il dir sciagura repentina scesa
        su tetto che per l'altrui amor si batte.
        Nello Maruca
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          Scritta da: Nello Maruca

          Il Portento

          Se davvero sei un portento
          E rimani sempre attento
          Restar devi ognor contento
          Pur se storto soffia il vento.

          Se invece, ahimè, t'ammosci
          E l'ardir non riconosci
          E il tuo io, indi, tradisci
          Sol perché non lo capisci

          Caro portento te lo dico:
          La corteccia hai del fico.
          Se t'incunei in questo vico
          Rimarrò comunque amico

          Perché inciso è nel mio cuore:
          tanta stima e fratern'amore.
          Nello Maruca
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            Scritta da: Nello Maruca

            CLXXXI

            Inebetito, steso mi fui cheto
            per nove dì che tutto ardea di foco
            e membra consumommi poco a poco
            e lo pensare al cranio fummi veto.

            Lo cinquettar d'uccello del vigneto
            fecemi intraveder dond'ero il loco
            e a fiato fioco la mia mamma invoco
            ché dal cald'affetto ancora non desueto

            Giovane suora che a mio canto siede,
            flebile e dolce voce sì mi dice:
            Mamma ch'invochi tosto qui riede

            Ch'affiancata dalla madre Badessa
            siede al cospetto di Signora Contessa
            ch'è di colei che ami generatrice.
            Nello Maruca
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              Scritta da: Nello Maruca

              Il patimento

              In quel quarantatré, dai suoi albori
              di quante tristi cose furon'orrori,
              quante anormali cose ebber processo
              tutto in memoria bene m'è impresso.
              Per quanto m'opri e sproni l'intelletto
              su carta, certo, non può esser detto
              quel ch'ho vissuto e con mio occhio visto
              in quel periodo nero, infame e tristo.

              Aleggiava miseria tutt'intorno
              e pane non era più in nessun forno;
              grano non era né farina o pasta
              e pochi i viveri distribuiti a testa.
              La tessera donava misero diritto
              ad accedere a poco, grame vitto;
              la fame in ogni dove era perenne,
              da sofferenza vecchio era trentenne.

              Prodotto non donava più la terra;
              era periodo tristo, era la guerra!
              Manco erba era agli argini di via
              ch'er'estirpata che nascesse pria.
              Di medicina, poi, non era traccia
              e il patimento si leggeva in faccia.
              V'era, soltanto, del poco chinino
              che scarso lo teneva il tabacchino.

              Nessuno al piede più avea calzare,
              nessuno panni aveva da indossare.
              Occhio scavato, zigomo sporgente,
              testa cadente, sguardo triste e assente.
              Scalza la donna, macilenta e stanca
              di cenci avea coperto spalla e anca;
              gobba teneva e non avea vent'anni,
              curve le spalle per i molti affanni.

              Ovunque era sporcizia, era lordura,
              di scarafaggi piena ogni fessura;
              di cimice e di mosche era marea,
              pulci e pidocchi ahimè! Ognuno avea.
              Necessità del corpo fisiologica
              soddisfava in vaso di ceramica
              la donna, il maschio, con corruccio
              di cesso ne faceva ogni cantuccio.

              Mesta sonava la campana a lutto
              per annunciare della guerra il frutto;
              quel tocco come freccia il cuor passava,
              piangea la donna, ahimè, chi non tornava.
              Per quella guerra dal passo stanco e lento
              altro Virgulto risultava spento
              e la speme che nutria la giovinetta
              era infilzata dalla baionetta.

              Di fame sofferente e di stanchezza
              gente che perso avea casa e ricchezza
              giungeva con scarsi panni addosso
              ch'al sol vederla umano era commosso.
              Siamo sfollati, venivano dicendo,
              veniamo da lontano, veniamo da Trento.
              Avevamo mestiere professione e arte
              delle vostre miserie deh! Fateci parte.

              Dacché la guerra su nostra Terra regna
              destino cattivo i nostri animi segna;
              dacché l'odio è calato come lampo
              manco nella preghiera avemmo scampo.
              E noi, che poveri eravamo non meno d'essi
              in un abbraccio a loro stemmo commossi,
              le nostre alle loro lacrime mischiammo
              e l'un con l'altro un solo corpo fummo.

              Di militi a cavallo e giacca a vento
              era un esteso, grand'accampamento.
              Militi stavano a guardia per cancello
              e avevano disloco in area Polpicello,
              Portavano divise lacere a stellette
              e a pranzo sgranavano gallette
              con poco vitto ch'era in scatolame,
              per appagare i morsi della fame.

              In questo quadro triste e desolante
              v'era qualcosa, però, di sublimante.
              Era quel canto che s'innalzava al cielo
              da dentro le baracche a verde telo.
              Gl'inni di Patria che i militi intonavano
              con orgoglio pel cielo veleggiavano
              e nell'udirli: Grandezza del Divino!
              Non era fame, nemmen tristo destino.
              Nello Maruca
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                Scritta da: Nello Maruca

                Lacché

                Lo rossore assomiglia ad un bel fiore;
                se lo coltivi, lo curi e l'hai nel cuore
                dal gambo alla corolla resta splendore
                e in ogni ora t'inebria del suo odore.
                Ma se nol curi, lo strappi e lo calpesti
                è qual morente dagli occhi spenti e pesti.
                E se pure lo raccogli tutto quanto
                mai riavrà la primiera bellezza del suo manto.

                Così è l'uomo se decoro mantiene,
                se saldo lo rossore sempre detiene;
                ma se perde o oscura la sua faccia
                è pari al verme che sguazza nella feccia.
                E qui dire vorrei del topo di fogna
                che nella melma vive e la vergogna;
                ed è quell'uomo che col capo chino
                striscia qual biscia mentre fa l'inchino.

                È faccia porcina, aspetto orripilante,
                nel letto dell'avverso trovasi d'amante
                e sol per qualche chicco di lenticchia
                tradisce la famiglia e la sua cerchia.
                Pezzente! Fare poteva solo l'inserviente
                ma lo portaro in cima: Ad assistente.
                E pure se insuperbito dell'alto rango
                la nostalgia lo rituffò nel fango...

                Di limo in limo, ahimè, vaga strisciando
                ed or questo padrone or quel servendo
                ansimando ricerca lo caldo d'altro fuoco
                ma ognuno lo manda altrove: In altro loco.
                Stolto! Crede di fare dell'inciucio
                e non s'accorge d'esser nato ciuccio.
                Cerca di gareggiare con abili cervelli
                ma è solamente il re degl'asinelli.

                Assicurando va d'essere paladino
                del cittadino e del suo destino.
                Nemmanco fosse il Grande Napolitano
                che nel costume è retto, integro, sano.
                Invece, il vero chiodo ch'ha in mente
                è rimanere lacché del presidente.
                Nello Maruca
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                  Scritta da: Nello Maruca

                  Strazio

                  Dolce per l'aria un suono va vagando
                  l'orecchio armoniosamente deliziando,
                  come del mare l'onda fluttuante
                  ora anelante, or più pacatamente.

                  Carezzevole un canto l'accompagna
                  dal villaggio, pei boschi, alla campagna
                  da zeffiro, piacevolmente, sostenuto
                  come bianco Angelo in ali convenuto.

                  Vecchio canuto dagli occhi penetranti,
                  barba a peli bianchi, mani tremanti,
                  faccia triste e stanca, espressione mesta,
                  la testa tra le mani, pensoso, resta.

                  Ripensa al tempo andato, per l'anima
                  sprecato, ritorna agli anni d'oro, rivive
                  le ballate, le serenate ch'ora non sublima,
                  i dolci canti, i suoni, le passioni estive.

                  Suo comportar calato l'ha nel fondo,
                  i dolci suoni che in aria mena i venti
                  gli anni addolcendo, orecchi carezzando,
                  per gl'anni ch'ora compie, sono strazianti.

                  Chi l'animo ha deterso d'ogni ruina
                  e dell'altrui bene ha fatto sua dottrina
                  sol egli letificare può del festeggiare
                  giacché in petto è amore a spazieggiare.

                  Altri non può, l'animo ne ha rigetto;
                  percorso non ha la via dal passo stretto
                  che dritto mena al benevolo cospetto
                  di Chi, per noi, trafitto ha il Santo Petto.
                  Nello Maruca
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