Le migliori poesie di Giovanni Pascoli

Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi.

Scritta da: Silvana Stremiz

L'assiuolo

Dov'era la luna? Ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?... );
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
Giovanni Pascoli
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz

    La canzone del Girarrosto

    Domenica! Il dì che a mattina
    sorride e sospira al tramonto!...
    Che ha quella teglia in cucina?
    Che brontola brontola brontola...
    È fuori un frastuono di giuoco,
    per casa è un sentore di spigo...
    Che ha quella pentola al fuoco?
    Che sfrigola sfrigola sfrigola...
    E già la massaia ritorna
    da messa;
    così come trovasi adorna,
    s'appressa:
    la brage qua copre, là desta,
    passando, frr, come in un volo,
    spargendo un odore di festa,
    di nuovo, di tela e giaggiolo.
    La macchina è in punto; l'agnello
    nel lungo schidione è già pronto;
    la teglia è sul chiuso fornello,
    che brontola brontola brontola...
    Ed ecco la macchina parte
    da sé, col suo trepido intrigo:
    la pentola nera è da parte,
    che sfrigola sfrigola sfrigola...

    Ed ecco che scende, che sale,
    che frulla,
    che va con un dondolo eguale
    di culla.
    La legna scoppietta; ed un fioco
    fragore all'orecchio risuona
    di qualche invitato, che un poco
    s'è fermo su l'uscio, e ragiona.
    È l'ora, in cucina, che troppi
    due sono, ed un solo non basta:
    si cuoce, tra murmuri e scoppi,
    la bionda matassa di pasta.
    Qua, nella cucina, lo svolo
    di piccole grida d'impero;
    là, in sala, il ronzare, ormai solo,
    d'un ospite molto ciarliero.
    Avanti i suoi ciocchi, senz'ira
    né pena,
    la docile macchina gira
    serena,
    qual docile servo, una volta
    ch'ha inteso, né altro bisogna:
    lavora nel mentre che ascolta,
    lavora nel mentre che sogna.
    Va sempre, s'affretta, ch'è l'ora,
    con una vertigine molle:
    con qualche suo fremito incuora
    la pentola grande che bolle.
    È l'ora: s'affretta, né tace,
    ché sgrida, rimprovera, accusa,
    col suo ticchettìo pertinace,
    la teglia che brontola chiusa.
    Campana lontana si sente
    sonare.
    Un'altra con onde più lente,
    più chiare,
    risponde. Ed il piccolo schiavo
    già stanco, girando bel bello,
    già mormora, in tavola! In tavola!,
    e dondola il suo campanello.
    Giovanni Pascoli
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz

      La canzone della granata

      Ricordi quand'eri saggina,
      coi penduli grani che il vento
      scoteva, come una manina
      di bimbo il sonaglio d'argento?
      Cadeva la brina; la pioggia
      cadeva: passavano uccelli
      gemendo: tu gracile e roggia
      tinnivi coi cento ramelli.
      Ed oggi non più come ieri
      tu senti la pioggia e la brina,
      ma sgrigioli come quand'eri
      saggina.
      Restavi negletta nei solchi
      quand'ogni pannocchia fu colta:
      te, colsero, quando i bifolchi
      v'ararono ancora una volta.
      Un vecchio ti prese, recise,
      legò; ti privò della bella
      semenza tua rossa; e ti mise
      nell'angolo, ad essere ancella.
      E in casa tu resti, in un canto,
      negletta qui come laggiù;
      ma niuno è di casa pur quanto
      sei tu.
      Se t'odia colui che la trama
      distende negli alti solai,
      l'arguta gallina pur t'ama,
      cui porti la preda che fai.
      E t'ama anche senza, ché ai costi
      ti sbalza, ed i grani t'invola,
      residui del tempo che fosti
      saggina, nei campi già sola.
      Ma più, gracilando t'aspetta
      con ciò che in tua vasta rapina
      le strascichi dalla già netta
      cucina.
      Tu lasci che t'odiino, lasci
      che t'amino: muta, il tuo giorno,
      nell'angolo, resti, coi fasci
      di stecchi che attendono il forno.
      Nell'angolo il giorno tu resti,
      pensosa del canto del gallo;
      se al bimbo tu già non ti presti,
      che viene, e ti vuole cavallo.
      Riporti, con lui che ti frena,
      le paglie ch'hai tolte, e ben più;
      e gioia or n'ha esso; ma pena
      poi tu.
      Sei l'umile ancella; ma reggi
      la casa: tu sgridi a buon'ora,
      mentre impaziente passeggi,
      gl'ignavi che dormono ancora.
      E quanto tu muovi dal canto,
      la rondine è ancora nel nido;
      e quando comincia il suo canto,
      già ode per casa il tuo strido.
      E l'alba il suo cielo rischiara,
      ma prima lo spruzza e imperlina,
      così come tu la tua cara
      casina.
      Sei l'umile ancella, ma regni
      su l'umile casa pulita.
      Minacci, rimproveri; insegni
      ch'è bella, se pura, la vita.
      Insegni, con l'acre tua cura
      rodendo la pietra e la creta,
      che sempre, per essere pura,
      si logora l'anima lieta.
      Insegni, tu sacra ad un rogo
      non tardo, non bello, che più
      di ciò che tu mondi, ti logori
      tu!
      Giovanni Pascoli
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il cuore del cipresso

        O cipresso, che solo e nero stacchi
        dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
        irto di cardi e stridulo di biacchi:

        in te sovente, al tempo delle more,
        odono i bimbi un pispillìo secreto,
        come d'un nido che ti sogni in cuore.

        L'ultima cova. Tu canti sommesso
        mentre s'allunga l'ombra taciturna
        nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
        ella ricerchi tra què bronchi un'urna.

        Più brevi i giorni,
        e l'ombra ogni dì meno
        s'indugia e cerca, irrequieta, al sole;
        e il sole è freddo e pallido il sereno.

        L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra:
        nell'ombra ove le stelle errano sole.
        E il rovo arrossa e con le spine ingombra

        tutti i sentieri, e cadono già roggie
        le foglie intorno (indifferente oscilla
        l'ermo cipresso), e già le prime pioggie
        fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.

        E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte
        il vento e t'urta e ti percuote a lungo:
        tu sorgi, e resti; simile alla Morte.

        E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia
        l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
        di nebbia nera tra la grigia nebbia.

        E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
        la neve, muta a guisa del pensiero,
        cade. Tra il bianco e tacito franare
        tu stai, gigante immobilmente nero.
        Giovanni Pascoli
        dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz

          Nevicata

          Nevica: l'aria brulica di bianco;
          la terra è bianca; neve sopra neve:
          gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
          cade del bianco con un tonfo lieve.
          E le ventate soffiano di schianto
          e per le vie mulina la bufera;
          passano bimbi: un balbettìo di pianto;
          passa una madre: passa una preghiera.
          Giovanni Pascoli
          dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz

            Nella macchia

            Errai nell'oblio della valle
            tra ciuffi di stipe fiorite,
            tra quercie rigonfie di galle;

            errai nella macchia più sola,
            per dove tra foglie marcite
            spuntava l'azzurra viola;

            errai per i botri solinghi:
            la cincia vedeva dai pini:
            sbuffava i suoi piccoli ringhi
            argentini.

            Io siedo invisibile e solo
            tra monti e foreste: la sera
            non freme d'un grido, d'un volo.

            Io siedo invisibile e fosco;
            ma un cantico di capinera
            si leva dal tacito bosco.

            E il cantico all'ombre segrete
            per dove invisibile io siedo,
            con voce di flauto ripete,
            Io ti vedo!
            Giovanni Pascoli
            dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Kikka Kiss

              La quercia caduta

              Dov'era l'ombra, or sè la quercia spande
              morta, né più coi turbini tenzona.
              La gente dice: Or vedo: era pur grande!

              Pendono qua e là dalla corona
              i nidietti della primavera.
              Dice la gente: Or vedo: era pur buona!

              Ognuno loda, ognuno taglia.
              A sera ognuno col suo grave fascio va.
              Nell'aria, un pianto... d'una capinera

              che cerca il nido che non troverà.
              Giovanni Pascoli
              Vota la poesia: Commenta