Le migliori poesie di Camillo Sbarbaro

Scrittore e poeta, nato giovedì 12 gennaio 1888 a Santa Margherita Ligure (Italia), morto martedì 31 ottobre 1967 a Savona (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Frasi per ogni occasione.

Scritta da: Antonella Marotta
Svegliandomi il mattino, a volte provo
sì acuta ripugnanza a ritornare
in vita, che di cuore farei patto
in quell'istante stesso di morire.

Il risveglio m'è allora un altro nascere;
ché la mente lavata dall'oblio
e ritornata vergine nel sonno
s'affaccia all'esistenza curiosa.
Ma tosto a lei l'esperienza emerge
come terra scemando la marea.
E così chiara allora le si scopre
l'irragionevolezza della vita,
che si rifiuta a vivere, vorrebbe
ributtarsi nel limbo dal quale esce.

Io sono in quel momento come chi
si risvegli sull'orlo d'un burrone,
e con le mani disperatamente
d'arretrare si sforzi ma non possa.

Come il burrone m'empie di terrore
la disperata luce del mattino.
Camillo Sbarbaro
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    Scritta da: Pedra

    Liguria

    Scarsa lingua di terra che orla il mare,
    chiude la schiena arida dei monti;
    scavata da improvvisi fiumi; morsa
    dal sale come anello d'ancoraggio;
    percossa dalla farsa; combattuta
    dai venti che ti recano dal largo
    l'alghe e le procellarie
    - ara di pietra sei, tra cielo e mare
    levata, dove brucia la canicola
    aromi di selvagge erbe.
    Liguria,
    l'immagine di te sempre nel cuore,
    mia terra, porterò, come chi parte
    il rozzo scapolare che gli appese
    lagrimando la madre.
    Ovunque fui
    nelle contrade grasse dove l'erba
    simula il mare; nelle dolci terre
    dove si sfa di tenerezza il cielo
    su gli attoniti occhi dei canali
    e van femmine molli bilanciando
    secchi d'oro sull'omero - dovunque,
    mi trapassò di gioia il tuo pensato
    aspetto.

    Quanto ti camminai ragazzo! Ad ogni
    svolto che mi scopriva nuova terra,
    in me balzava il cuore di Caboto
    il dì che dal malcerto legno scorse
    sul mare pieno di meraviglioso
    nascere il Capo.

    Bocconi mi buttai sui tuoi fonti,
    con l'anima e i ginocchi proni, a bere.
    Comunicai di te con la farina
    della spiga che ti inazzurra i colli,
    dimenata e stampata sulla madia,
    condita dall'olivo lento, fatta
    sapida dal basilico che cresce
    nella tegghia e profuma le tue case.
    Nei porti delle tue città cercai,
    nei fungai delle tue case, l'amore,
    nelle fessure dei tuoi vichi.
    Bevvi
    alla frasca ove sosta il carrettiere,
    nella cantina mucida, dal gotto
    massiccio, nel cristallo
    tolto dalla credenza, il tuo vin aspro
    - per mangiare di te, bere di te,
    mescolare alla tua vita la mia
    caduca.
    Marchio d'amore nella carne, varia
    come il tuo cielo ebbi da te l'anima,
    Liguria, che hai d'inverno
    cieli teneri come a primavera.
    Brilla tra i fili della pioggia il sole,
    bella che ridi
    e d'improvviso in lagrime ti sciogli.
    Da pause di tepido ingannate,
    s'aprono violette frettolose
    sulle prode che non profumeranno.

    Le petraie ventose dei tuoi monti,
    l'ossame dei tuoi greti;
    il tuo mare se vi trascina il sole
    lo strascico che abbaglia o vi saltella
    una manciata fredda di zecchini
    le notti che si chiamano le barche;
    i tuoi docili clivi, tocchi d'ombra
    dall'oliveto pallido, canizie
    benedicente a questa atroce terra:
    - aspri o soavi, effimeri od eterni,
    sei tu, terra, e il tuo mare, i soli volti
    che s'affacciano al mio cuore deserto.

    Io pagano al tuo nume sacrerei,
    Liguria, se campassi della rete,
    rosse triglie nell'alga boccheggianti;
    o la spalliera di limoni al sole,
    avessi l'orto; il testo di garofani,
    non altro avessi:
    i beni che tu doni ti offrirei.
    L'ultimo remo, vecchio marinaio
    t'appenderei.

    Chè non giovano, a dir di te, parole:
    il grido del gabbiano nella schiuma
    la collera del mare sugli scogli
    è il solo canto che s'accorda a te.

    Fossi al tuo sole zolla che germoglia
    il filuzzo dell'erba. Fossi pino
    abbrancato al tuo tufo, cui nel crine
    passa la mano ruvida aquilone.
    Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi.
    Camillo Sbarbaro
    Composta mercoledì 30 novembre 1921
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      Scritta da: Antonella Marotta
      A volte sulla sponda della via
      preso da infinito scoramente
      mi seggo; e dove vado mi domando,
      perché cammino. E penso la mia morte
      e mi vedo già steso nella bara
      troppo stretta fatoccio inanimato...

      Quant'albe nasceranno ancora al mondo
      dopo di noi!
      Di ciò che abbiam sofferto
      di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore
      non rimarrà il più piccolo ricordo

      Le generazioni passan come
      onde di fiume...

      Una mortale pesantezza il cuore
      m'opprime.
      Inerte vorrei esser fatto
      come qualche antichissima rovina
      e guardare succedersi le ore,
      e gli uomini mutare i passi, i cieli
      all'alba colorirsi, scolorirsi
      a sera...
      Camillo Sbarbaro
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        Scritta da: Antonella Marotta
        Taci anima mia. Son questi i tristi giorni in cui senza volontà si vive,
        i giorni dell'attesa disperata.
        Come l'albero ignudo a mezzo inverno
        che s'attriste nella deserta corte
        io non credo di mettere più foglie
        e dubito d'averle messe mai.
        Andando per la strada così solo
        tra la gente che m'urta e non mi vede
        mi pare d'esser da me stesso assente.
        E m'accalco ad udire dov'è ressa
        sosto dalle vetrine abbarbagliato
        e mi volto al frusciare d'ogni gonna.
        Per la voce d'un cantastorie cieco
        per l'improvviso lampo d'una nuca
        mi sgocciolano dagli occhi sciocche lacrime
        mi s'accendon negli occhi cupidigie.
        Chè tutta la mia vita è nei miei occhi:
        ogni cosa che passa la commuove
        come debola vento un'acqua morta.

        Io son come uno specchio rassegnato
        che riflette ogni cosa per la via.
        In me stesso non guardo perché nulla
        vi troverei...

        E, venuta la sera, nel mio letto
        mi stendo lungo come in una bara.
        Camillo Sbarbaro
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          Scritta da: Antonella Marotta
          Mi desto dal penoso sonno solo
          nel cuore della notte.
          Tace intorno
          la casa come vuota e laggiù brilla
          silenzioso coi suoi lumi un porto.
          Ma sì freddi e remoti son quei lumi
          e sì alto il silenzio nella casa
          che mi levo sui gomiti in ascolto.
          Improvviso terrore mi sorprende
          il fiato e allarga nella notte gli occhi:
          separata dal resto della casa
          separata dal resto della terra
          è la mia vita ed io son solo al mondo.

          Poi il ricordo delle trite vie
          e dei nomi e dei volti consueti
          emerge come spiaggia da marea
          e di me sorridendo mi riadagio.

          Ma svanita col sonno la paura,
          un gelo in fondo all'anima rimane:
          io tra gli uomini vado
          curioso di lor ma come estraneo;
          ed alcuno non ho nelle cui mani
          metter le mani
          e col quale di me dimenticarmi.
          Camillo Sbarbaro
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            Scritta da: Antonella Marotta
            Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo
            come in sonno tra gli uomini mi muovo.
            Di chi m'utra col braccio non m'accorgo,
            e se ogni cosa guardo acutamente
            quasi sempre non vedo ciò che guardo.
            Stizza mi prende contro chi mi toglie
            a me stesso. Ogni voce m'importuna.
            Amo solo la voce delle cose.
            M'irrita tutto ciò che è necessario
            e consueto, tutto ciò che è vita,
            m'irrita come il fuscello la lumaca
            e com'essa in me stesso mi ritiro.

            Chè la vita che basta agli altri uomini
            non basterebbe a me.
            E veramente
            se un altro mondo non avessi, mio,
            nel quale dalla vita rifugiarmi,
            se oltre le miserie e le tristezze
            e le necessità e le consuetudini
            a me stesso non rimanessi io stesso,
            oh come non esistere vorrei!
            Ma un'impressione strana m'accompagna
            sempre in ogni mio passo e mi conforta:
            mi pare di passare come per caso
            da questo mondo...
            Camillo Sbarbaro
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              Scritta da: Antonella Marotta
              Magra dagli occhi lustri, dai pomelli
              accesi,
              la mia anima torbida che cerca
              chi le somigli
              trova te che sull'uscio aspetti gli uomini.

              Tu sei la mia sorella di quest'ora.

              Accompagnarti in qualche trattoria
              di passoporto
              e guardarti mangiare avidamente!
              E coricarmi senza desiderio
              nel tuo letto!
              Cadavere vicino ad un cadavere
              bere dalla tua vista l'amarezza
              come la spugna secca beve l'acqua!

              Toccare le tue mani i tuoi capelli
              che pure a te qualcuno avrà raccolto
              in un piccolo ciuffo sulla testa!
              E sentirmi guardato dai tuoi occhi
              ostili, poveretta, e tormentarti
              domandandoti il nome di tua madre...

              Nessuna gioia vale questo amaro:
              poterti far piangere, potere
              piangere con te.
              Camillo Sbarbaro
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                Scritta da: Antonella Marotta
                I miei occhi implacabili che sono
                sempre limpidi pure quando piangono
                Amicizia non vale ad ingannare.
                Quando parliamo troppo forte o quando
                d'improvviso taciamo tutti e due,
                vedono essi il male che ci rode.
                Col rumor della voce noi vogliamo
                creare fra noi quel che non è;
                quando taciamo non sappiam che dirci
                ed apre degli abissi quel silenzio.
                Allacciarci non giova con le braccia
                se distinti restiamo ai nostri occhi.

                A ingannarli non vali neppur tu,
                Dolore. Quando allenti la tua stretta,
                il mio padre e le mia sorella anch'esse
                s'allontanano paurosamente.

                Certe volte vedendo una bestiola
                che lecca una bestiola e gioca seco,
                mi morde il cuore una crudele invidia.

                Con gli occhi vedo che mi sei negata,
                gioia di voler bene a quelcheduno.
                Camillo Sbarbaro
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                  Scritta da: Antonella Marotta
                  Adesso che placata è la lussuria
                  sono rimasto con i sensi vuoti,
                  neppur desideroso di morire.
                  Ignoro se ci sia nel mondo ancora
                  chi pensi a me e se mio padre viva.
                  Evito di pensarci solamente.
                  Chè ogni pensiero di dolore adesso
                  mi sembrerebbe suscitato ad arte.
                  Sento d'esser passato oltre qual limite
                  nel qual si è tanto umani per soffrire,
                  e che quel bene non m'è più dovuto,
                  perché soffrire la colpa è un bene.

                  Mi lascio accarezzare dalla brezza,
                  illuminare dai fanali, spingere
                  dalla gente che passa, incurioso
                  come nave senz'ancora né vela
                  che abbandona la sua carcassa all'onda.
                  Ed aspetto così, senza pensiero
                  e senza desiderio, che di nuovo
                  per la vicenda eterna delle cose
                  la volontà di vivere ritorni.
                  Camillo Sbarbaro
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Padre, anche se

                    Padre, se anche tu non fossi il mio
                    padre,
                    per te stesso, egualmente t'amerei.
                    Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
                    che la prima viola sull'opposto
                    muro scopristi dalla tua finestra
                    e ce ne desti la novella allegro.
                    E subito la scala tolta in spalla
                    di casa uscisti e l'appoggiavi al muro.
                    Noi piccoli dai vetri si guardava.

                    E di quell'altra volta mi ricordo
                    che la sorella, bambinetta ancora,
                    per la casa inseguivi minacciando.
                    Ma raggiuntala che strillava forte
                    dalla paura, ti mancava il cuore:
                    t'eri visto rincorrere la tua
                    piccola figlia e, tutta spaventata,
                    tu vacillando l'attiravi al petto
                    e con carezze la ricoveravi
                    tra le tue braccia come per difenderla
                    da quel cattivo ch'eri tu di prima.

                    Padre, se anche tu non fossi il mio
                    padre...
                    Camillo Sbarbaro
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