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"Durante gl'anni trascorsi alla New York University, Shyamalan ha seguìto corsi di psicologia in cui è stato discuss'il tema del Disturbo dissociativo d'identità (DDI), e ha conservato gl'appunti sulle teorie della diagnosi." "Si ritiene ch'alcune di quest'identità possano anche manifestarsi con attributi fisici unici per ogni singola personalità, un prisma cognitivo e fisiologico all'interno d'un unico essere." "Prendo qualcosa in cui si crede e lo spingo oltre. Col DDI, ogni personalità individuale crede d'essere ciò che è, al 100%. Se una personalità crede d'aver'il diabete o il colesterolo alto, può il loro corpo cambiare chimicamente? In questo momento l’argomento è oggetto di discussione in tutt'il mondo, ma credo che sia un dato di fatto. E che succede se una personalità crede d'avere dei poteri sovrannaturali? Come sarebbe?" La risposta "chi se ne frega" non dev'averlo sfiorato affatto, così com'i discorsi deliranti espress'in videoconferenza dalla psichiatra al congresso scientifico parigino che reagisce con scettismo e perplessità. "Proprio ciò che rende più vulnerabile è esattamente ciò che trae in salvo; la sofferenza quale catalizzatore di vita, dunque rimedio alla morte." A parte ch'è un'apologia del dolorismo, tecnicamente una "patodicea"; e poi: rimedio a cosa? 'Sto regista s'è inventato la formuletta del "twist finale", un'idiozia poiché vanifica l'intero plot e, quand'irromp'il conclusivo ribaltamento prospettico, non c'è più ragione per riveder'il film. Sol'una volta ha utilizzato tal'invenzione per un contenuto di spessore, in "Unbreakable" qui citato nell'ultima scena.

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