Scritto da: Mariella Buscemi
È cecità la tua figura che svanisce. Si staglia come il nulla all'orizzonte e il niente è il messaggio del cielo. Anche la pioggia non bagna quando la pelle si dismette come fosse abito roso, appuntato con spilli all'anima lisa. Intrappolo acqua tra i pugni serrati. Avrei giurato di non aver lasciato fessure. "L'han bevuta i palmi", mi son detta. A sorsi avidi. La mancanza va via di schiena e non inciampa. Si alza dal suolo e misura la distanza sul metro delle pupille che si restringono per mettere meglio a fuoco l'infinitamente piccolo che gioca sulla geometria del distacco. L'invisibile è sagoma definita sul cuore cavo. La polpa dei seni non sfiorati agonizza tra le vene a formar corde sotto pelle come fossero dita - le tue - ché mi vieni da dentro se non mi sei fuori, a un palmo dal respiro che mi spettina i capelli col fiato fin troppo vicino. Lontano. Raccoglimi l'ultima cicatrice, ché se mi stai distante, almeno, portati via i segni. L'intervallo della carne. L'assenza della voce. Io in esilio. Emigrata dal paese delle tue essenze, volo nell'aria immobile. Zefiro contaminato. Refoli ad agitar le ali sulle mie scapole e il brivido si dilegua in piume lungo la schiena, facendomi schianto fino al midollo. Una mancanza e cento bisogni. Multipli del desiderio. E nonostante, ci sei dai passi all'anima.

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