Commenti a "La mia è una laurea cum loden. Magari se l..." di Lucia Gaianigo


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Ma il 63 è troppo lontano
Pino fai una eccezzzione
da buon  napoletano scansa fatiche ,  fai almeno copia e incolla.
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Tuttavia non ho l'animo, volgo profano, di lasciarvi così, nelle vesti di un qualsiasi "guappo" o "picciotto azzecca pacchere". E dunque, anche per fornire Lucia di un termo- piumone matrimoniale dopo le ordinarie lenzuola di cui sopra, vi lascio una dotta citazione, al solo scopo di fornire un modesto contributo al vostro acculturamento.

SHAKESPEARE, Giulio Cesare, atto primo

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA - Roma. Una strada

(Entrano FLAVIO, MARULLO ed alcuni Popolani)


FLAVIO: Via! A casa, fannulloni, andate a casa; che è festa oggi?

Come! Non sapete che, essendo artigiani, non dovreste passeggiare in giorni feriali senza il contrassegno del vostro mestiere? Di', che mestiere fai tu?

PRIMO POPOLANO: Faccio il falegname, signore.

MARULLO: Dove hai il grembiale di cuoio ed il regolo? Che fai con i tuoi abiti da festa? E tu, che mestiere fai?

SECONDO POPOLANO: In verità, signore, paragonato ad un operaio fine, non sono altro che come chi dicesse un ciabattino.

MARULLO: Ma che mestiere fai? Rispondimi a tono.

SECONDO POPOLANO: Un mestiere, signore, che spero di poter esercitare con coscienza tranquilla; e sarebbe invero, signore, quello di acconciare le rotture di tomaie.

MARULLO: Che mestiere, furfante? Ignobile furfante, che mestiere?

SECONDO POPOLANO: No, vi prego, signore, non logoratevi la salute; ma se ve la logorate, signore, vi posso riparare.

MARULLO: Che intendi dire con questo? Ripararmi, impertinente!

SECONDO POPOLANO: Eh, signore, rattacconarvi!

FLAVIO: Sei ciabattino, dunque?

SECONDO POPOLANO: In verità, signore, non vivo che col trincetto; ma non trincio i panni addosso a mercanti né a mercantesse: e per quanto io non trinci panni, son cerusico di vecchie pelli; quando esse sono in gran pericolo io le rimetto in gamba. I più begli uomini che mai abbiano calpestato cuoio di vitello sono passati sulla mia mano d'opera.

FLAVIO: Ma perché non sei nella tua bottega oggi? Perché porti in giro questi uomini per le strade?

SECONDO POPOLANO: Veramente, signore, per fare consumare loro le scarpe e procurarmi dell'altro lavoro. Ma, sul serio, signore, facciamo festa per vedere Cesare e godere del suo trionfo.

MARULLO: E perché godere? Quale conquista riporta egli in patria?

Quali tributari lo seguono fino a Roma, per onorare con catene di prigionia le ruote del suo carro? Ciocchi di legno che siete, macigni, cose meno che insensibili! O duri cuori, crudeli uomini di Roma, non conosceste Pompeo? Quante volte siete saliti sulle mura e sugli spalti, sulle torri e alle finestre, sì fin sui comignoli, con i vostri bimbi fra le braccia, e lì siete rimasti seduti l'eterna giornata, in paziente aspettativa, per vedere il gran Pompeo passare per la strade di Roma: e quando vedevate appena spuntare il suo carro, non avete voi innalzato un grido universale così che il Tevere tremava sotto le sue rive a udire il rimbombare dei vostri clamori, tra le sue concave sponde? Ed ora indossate gli abiti da festa? Ed ora vi pigliate un giorno di vacanza? Ed ora spargete fiori pel cammino di colui che viene a trionfare sul sangue di Pompeo? Andatevene! Correte alle vostre case, cadete in ginocchio, pregate gli dèi di ritardare la peste che necessariamente dovrà ricadere su questa ingratitudine.

FLAVIO: Andate, andate, buoni compatrioti, e, per questa colpa, riunite tutti i poveri della vostra sorta; conduceteli sulle sponde del Tevere e piangete le vostre lagrime nel suo alveo finché la più bassa corrente lambisca le sponde più elevate. (Escono tutti i Popolani) Guardate se la loro rozza anima non è commossa! Spariscono ammutoliti nella loro colpevolezza. Andate voi di là verso il Campidoglio; io andrò di qua: spogliate le immagini, se le trovate decorate di insegne onorifiche.

MARULLO: Possiamo farlo? Sapete che è la festa dei Lupercali.

FLAVIO: Non importa: nessuna immagine sia adorna di trofei di Cesare.

Io andrò attorno e scaccerò il volgo dalle strade: così fate voi quando li vedete in folla. Queste penne crescenti strappate all'ala di Cesare faranno volare ad un'altezza normale colui che altrimenti si librerebbe al di là della vista umana e tutti ci terrebbe in servile timore.
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Il commento 356 di Giuseppe C.
è già cornice.

Swift !  pulisce meglio e ingrassa poco...
buona poesia !
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   Grazie!
357
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Quanto è bella la signora verità, che poche volte compare, ma quando compare parla chiaro e illumina di sé l'intero sito, Val Padana e bassa Sassonia comprese !!!

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